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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2013 alle ore 08:28.

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ROMA
«Rispettare» la magistratura, che non merita toni «spregiativi» perché «non c'è nulla di più impegnativo e delicato che amministrare giustizia, garantire quella rigorosa osservanza delle leggi, quel severo controllo di legalità, che rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica». Continuare a «operare» per il «superamento» del «fuorviante» conflitto tra politica e giustizia», senza arrendersi a «resistenze ormai radicate e a nuove recrudescenze del conflitto, da spegnere nell'interesse del Paese». Attendersi dai magistrati un comportamento «meno difensivo e più propositivo» rispetto alle riforme, di cui «la giustizia ha indubbio bisogno da tempo e che sono pienamente collocabili nel quadro dei principi della Costituzione».
Il presidente della Repubblica pianta tre paletti per tentare di arginare la deriva del dibattito sulla giustizia post sentenza Mediaset-diritti tv. Il Pdl plaude per il riferimento alle riforme della giustizia, ma continua ad attaccare il premier Letta negando che in Italia «ci sia uno Stato di diritto». Il Pd plaude invece per il richiamo al rispetto e all'imparzialità del giudice, mentre i Cinque Stelle chiedono le dimissioni di Napolitano per i suoi toni di «finta pacificazione, quando non c'è una guerra in atto tra Pm e politici ma solo politici che delinquono da 50 anni e Pm che indagano». Di «pacificazione» parla però il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri: «Come dopo il fascismo l'Italia è stata capace di trovarsi d'accordo in momenti difficilissimi».
Napolitano interviene al termine di un incontro di studio - organizzato dalla Luiss - in ricordo di Loris D'Ambrosio, il suo consigliere giuridico scomparso nel luglio dell'anno scorso. Tanti studenti, tanti magistrati, autorità. «La sua scomparsa è una grande perdita per la nostra Università» dice la presidente della Luiss Emma Marcegaglia. L'ex Guardasigilli Paola Severino ricorda il «professor D'Ambrosio» e la sua «straordinaria attitudine al dialogo e al confronto»; Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale, rievoca «la sua duplice sensibilità di giurista e di politico del diritto penale», ma anche il «perverso giuoco politico-giudiziario e mediatico» di cui fu vittima alla vigilia della sua scomparsa. Il riferimento è alla vicenda delle telefonate intercettate dalla Procura di Palermo, in cui Nicola Mancino si lamentava con D'Ambrosio di un presunto mancato coordinamento nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia (lo fece anche con Napolitano, ma le intercettazioni sono state distrutte), vicenda ripresa anche dall'ex primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, succedutogli al Quirinale. «Loris ha molto sofferto, nell'ultimo periodo della sua vita, per il sospetto di aver voluto interferire su indagini in tema di mafia» dice Lupo, mentre «la sua attività si collocava nell'ambito dell'ordinamento, essendo volta ad auspicare che venissero esercitati i poteri di coordinamento delle indagini compiute da diverse Procure della Repubblica». Così facendo, egli aveva «incanalato nei binari della legalità ogni eventuale pressione e richiesta di intervento ricevute dall'esterno». «Gielo dissi - ricorda Lupo - ed è tanto più doveroso ribadirlo viste le notizie pubblicate proprio oggi dalla stampa», cioè un articolo di Repubblica sulla decisione della Procura di Palermo di citare come testimoni, tra gli altri, il segretario generale del Quirinale Donato Marra e Napolitano. «Forse una non casuale coincidenza con questo incontro», l'ha definita il Capo dello Stato, sottolineando «l'impronta mistificatoria» del «perverso giuoco politico-giuridico e mediatico» di cui D'Ambrosio è rimasto «vittima». «Nulla di più paradossale e iniquo», perché «nessuno più di Loris mi ha aiutato a definire i termini e le condizioni» per «il superamento» del conflitto tra politica e giustizia, «obiettivo costante del mio impegno fin dall'inizio del mandato di presidente».
In quest'ottica, Napolitano ha, da un lato, stigmatizzato chi definisce, «in senso spregiativo», i magistrati «impiegati pubblici» (perché il magistrato è «un civil servant, sinonimo di dedizione esclusiva all'interesse generale del Paese e alle sue istituzioni democratiche») ma, dall'altro lato, ha chiesto un «contributo» alla magistratura, ricordando l'importanza delle doti di «equilibrio, sobrietà, riserbo, assoluta imaprzialità e senso della misura». A D'Ambrosio sarebbe piaciuta molto, assicura Napolitano, la «forte, coraggiosa riflessione autocritica» fatta a Milano qualche giorno fa da «magistrati (Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone, ndr) di grande esperienza e di indiscutibile, fiera indipendenza e combattività». Dunque, i magistrati dovrebbero dimostrare «un'attitudine meno difensiva e più propositiva rispetto alle riforme di cui la giustizia ha bisogno da tempo», ha concluso, lasciando un po' di amaro in bocca ai magistrati, anche perché sono stati tra i pochi a non fare resistenza contro una riforma epocale appena entrata in vigore, quella sulla nuova geografia giudiziaria.
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