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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2013 alle ore 06:46.

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Ostaggi tutti liberi, Westgate "ripulito". Con questo breve comunicato, arrivato ieri in tarda serata, si è concluso l'assalto al cento commerciale di Nairobi, durato tre giorni. È il risultato del blitz delle forze di sicurezza kenyote contro il commando di estremisti islamici, che sabato si è impadronito del moderno centro commerciale "Westgate", di Nairobi, uccidendo decine di civili. Il bilancio, provvisorio, diramato dalla Croce rossa del Kenya, è drammatico: 62 le vittime, tra cui, sembra, 13 stranieri (quattro i britannici). Una sessantina di dispersi (inclusi un numero indefinito di ostaggi) e 175 feriti.
Il portavoce del governo ha riferito che il centro commerciale Westgate è stato "ripulito" dalle forze speciali, senza incontrare "resistenza". Una buona notizia dato il timore che avevano suscitato le parole del portavoce del gruppo jihadista somalo al-Shabaab al-Mujaheddin, lo sceicco Ali Mohamoud Rage: «I compagni sono autorizzati a intraprendere azioni contro i prigionieri, nel momento in cui si trovassero sotto pressione».
A più riprese, con il passare delle ore, sono risuonate intorno al complesso raffiche di armi automatiche ed esplosioni. In serata le forze kenyote sono tornate in controllo di tutti i piani del grande centro commerciale dove sabato, al momento dell'attentato, si trovavano mille persone. Molte di loro sono subito riuscite a scappare, altre duecento sarebbero state tratte successivamente in salvo. Tre terroristi, ha fatto sapere il Governo di Nairobi, sarebbero stati eliminati. Alcuni degli ostaggi liberati hanno raccontato che il commando, composto da 10-15 terroristi, aveva minacciato di uccidere subito i non musulmani. Era salvo - hanno spiegato gli ostaggi liberati - chi sapeva recitare il credo islamico della shahada. Chi non lo sapeva, sarebbe stato ammazzato. Dopo averlo definito un «atto terribile», il presidente americano Barack Obama ha offerto al presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, tutta la cooperazione possibile.
L'attentato di sabato riporta drammaticamente l'attenzione del mondo sulla crisi somala e sulla minaccia rappresentata dagli Shabaab. Un'organizzazione affiliata ad al-Qaeda, da diversi anni in guerra contro il Governo di Mogadiscio, sostenuto dalle truppe dell'Unione Africana (Amisom) e appoggiato dalla comunità internazionale. Già sabato sera il movimento ha rivendicato l'attentato, definendolo una risposta contro il governo di Nairobi, reo, ai loro occhi, di aver scatenato un'offensiva - rivelatasi presto vincente - nelle regioni meridionali della Somalia. Privando così il gruppo estremista di centri strategici come la città di Kismajo.
Il commando è «chiaramente multinazionale», gli assalitori «vengono da diversi Paesi», ha precisato il capo dell'esercito kenyano, Julius Karangi. Ma non è una affermazione che desta stupore. Sin dal 2007 i porosi confini somali con il Gibuti e il Kenya, e i porti a disposizione degli Shabaab, avevano reso facile per i qaedisti stranieri penetrare in Somalia. Già nel 2009 circa mille mujaheddin, tra cui pakistani, sauditi e yemeniti, avevano assunto posizioni di comando tra le fila degli Shabaab. Dopo aver perso nel settembre del 2012 Kismajo, centro nevralgico a sud, e la capitale Mogadiscio nel 2011, e indebolito da lotte intestine, il movimento ha cambiato strategia, passando a tecniche di guerriglia e intensificando lo strumento principe del network di al-Qaeda: gli attentati kamikaze. Il loro esercito di aspiranti martiri sembra inesauribile. Negli ultimi tre attacchi a Mogadiscio (da aprile a settembre) hanno ucciso più di 80 persone.
L'attentato di Nairobi non è il primo in un Paese al di fuori della Somalia. Gli Shabaab hanno colpito più volte non solo il Kenya, ma anche l'Uganda, i cui soldati, insieme a quelli del Burundi, formano l'ossatura del contingente dell'Amisom stanziato a Mogadiscio. Proprio in Uganda, a Kampala, nell'estate del 2010 i kamikaze di Shabaab colpirono un ristorante etiope gremito di gente che assisteva a una partita dei Mondiali di calcio: le vittime furono 74. Prima che Kenya ed Etiopia arrivassero in soccorso dell'Amisom, gli Shabaab erano prossimi a conquistare l'intera Somalia centro-meridionale. Nel giugno del 2009, nessun altro movimento estremista islamico esercitava un controllo assoluto su un territorio così vasto: otto regioni su nove. I loro nemici, l'esercito del governo somalo di transizione e quello poco addestrato dell'Amisom, restavano confinati in pochi quartieri di Mogadiscio. L'indifferenza della comunità internazionale verso una crisi che appariva confinata alla Somalia ha dunque agevolato l'ascesa di un gruppo affiliato ad al-Qaeda, la cui agenda è tipica di quella dei gruppi jihadisti internazionali: prima creare un califfato islamico in Somalia mediante il jihad, poi estenderlo ai Paesi circostanti.
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