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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2013 alle ore 11:49.

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Sorpresa: sul portafoglio delle famiglie l'accisa-benzina può pesare più dell'Iva

Naturalmente stiamo parlando di centesimi. Ma poiché i precedenti ci sono e sono stati misurati dall'Istat con modelli di microsimulazione sulle spese delle famiglie, sappiamo già che un aumento delle accise su benzina, gasolio e Gpl potrebbe pesare relativamente di più dell'aumento di un punto dell'aliquota Iva ordinaria. È successo nel 2011, quando a settembre scattò l'aumento dal 20 al 21% dell'Iva mentre qualche mese prima vennero aumentate le accise. L'Istat ha quantificato gli effetti di quelle due mosse sulla spesa degli italiani e pubblicato i risultati nell'ultimo Rapporto annuale, in cui si spiega (con largo anticipo) che gli aggravi medi dovrebbero essere identici anche per il passaggio dal 21 al 22 atteso per il 1° ottobre prossimo.

I calcoli dell'Istat
La simulazione prende in considerazione le famiglie secondo una scala divisa in cinque blocchi per capacità di spesa equivalente. L'aggravio di spesa complessivo per il 20% delle famiglie più disagiate è risultato percentualmente inferiore a quello del 20% delle famiglie più ricche (rispettivamente 0,78 per cento e 0,86 per cento). Mentre per le famiglie "centrali", l'aggravio è stato più elevato rispetto a quelle del 20% più alto (compreso tra lo 0,88 e lo 0,92 per cento) . Guardando però alla composizione dell'aggravio di spesa, la simulazione stima una maggiore incidenza della variazione delle accise sulla spesa del primo quinto di famiglie rispetto a quella dell'ultimo quinto (rispettivamente pari a 0,53 per cento e 0,48 per cento). Insomma, la benzina più cara ha pesato di più sui più poveri con i ritocchi fiscali del 2011. E a pagare di più rispetto ai più facoltosi sono state anche le famiglie con reddito medio, che hanno subito un aggravio di spesa dello 0,60 per cento, che è superiore al valore stimato per l'ultimo quinto. Con l'incremento dell'Iva ordinaria le cose sono andate meglio dal punto di vista dell'equità fiscale: le stime parlano di un andamento crescente all'aumentare del livello di spesa complessivo, con un aggravio che è passato dallo 0,25 per cento del primo quinto allo 0,38 per cento dell'ultimo. Il perché è ovvio: nella spesa media dei più poveri ci sono meno beni e servizi contenuti nel paniere su cui si basa l'aliquota ordinaria e più beni su cui pesano le aliquote minori (4 e 10%) o addirittura esenti dall'Iva.

Meno salvaguardie per i più poveri
Ma attenzione: sempre l'Istat ci avverte che l'analisi nel tempo dei profili di consumo delle famiglie a basso reddito dimostra come il loro "paniere di consumi" si dimostri sempre meno salvaguardato dalle manovre sulle imposte indirette. Tra il 1997 e il 2011 la distanza nei consumi di prodotti nell'aliquota ordinaria tra primo quinto di popolazione e ultimo quinto s'è via via ridotta. E per il 20% dei più poveri s'è anche ridotto il peso dei beni e servizi acquistati che si trovano sotto aliquota del 4%. Tendenze che suggerirebbero di por mano a una razionalizzazione delle aliquote Iva.

L'impatto sui consumi e i prezzi
La simulazione Istat si basa sull'ipotesi di un completo trasferimento delle maggiori aliquote Iva sui prezzi; ipotesi da considerare anche nel caso dell'aumento delle accise. Dunque si verificherà un impatto in termini di maggiore inflazione. Su quest'ultimo aspetto la stima più recente è di Bankitalia, che a luglio ha stimato un indice dei prezzi al consumo Ipca all'1,5% in media d'anno nel 2013 e nel 2014; scenario che già incorpora appunto quell'aumento dell'Iva al 22% che il Governo vorrebbe in tutti i modi evitare. Se scattasse avrebbe un effetto sulla dinamica dei prezzi stimabile, secondo Bankitalia, in 0,1 punti percentuali quest'anno e in 0,3 punti l'anno prossimo. Come andrà sui consumi dell'ultimo trimestre è difficile dirlo. Mentre sul 2014, il primo anno di inversione di ciclo secondo le previsioni dopo otto trimestri negativi, qualche effetto ci sarebbe con un'Iva più cara: un gelata sui quella parte di domanda aggregata (i consumi delle famiglie) che dovrebbe aiutare la crescita del Pil a rimanere in territorio positivo.

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