Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 06:43.

My24

di Ugo Tramballi Molti ne sono eccitati, molti altri preoccupati. Qualcuno lo ha definito l'equivalente mediorientale della caduta del Muro di Berlino; altri solo un modo ambiguo per guadagnare il tempo necessario per assemblare la bomba atomica. Quello che è accaduto la settimana scorsa all'Onu, le prove di un disgelo fra Stati Uniti e Iran, resta un fatto potenzialmente storico.
Non ci vorrà molto per capire se Hassan Rohani mente o è un grande riformatore. Il 15 ottobre a Ginevra i negoziatori dei cinque Paesi del Consiglio di sicurezza più la Germania (i 5+1) s'incontrano con gli iraniani per riprendere la trattativa sul nucleare. Lì si capirà se accanto ai gesti e alle parole del nuovo presidente iraniano, ci sia sostanza. O se, più semplicemente, nel sistema rivoluzionario iraniano Rohani non ha alcun potere di cambiare le cose.
In attesa di comprenderlo, il problema comunque è un altro. Cosa può accadere in Medio Oriente quando a non fidarsi degli Stati Uniti sono i suoi primi alleati nella regione? Nessuno come Israele e l'Arabia Saudita, è preoccupato delle aperture di Barack Obama all'Iran. Da quando ha rinunciato a bombardare la Siria, Bibi Netanyahu e re Abdullah si sono convinti che il presidente sia poco meno di un pusillanime, pronto a sacrificare i vecchi alleati per un suo disegno di pace.
Bibi Netanyahu ieri è stato alla Casa Bianca, non ha avanzato di nuovo la necessità di bombardare l'Iran come unica alternativa al suo programma nucleare. Ma è evidente il suo sogno di parlare un giorno di queste cose con un nerboruto e più ricettivo presidente repubblicano.
Si potrebbe sottolineare la pessima compagnia con la quale si trova di nuovo Netanyahu, leader di un Paese democratico. Era già accaduto con Hosni Mubarak: Bibi e re Abdullah erano stati gli ultimi ad abbandonarlo, a malincuore. Per quanto amico dell'America, l'Arabia Saudita è il Paese più reazionario del Medio Oriente, ha finanziato i salafiti di tutte le Primavere, non ha impedito che la Siria si riempisse di milizie islamiste e per andare un po' più indietro nel tempo, 15 dei 19 terroristi dell'11 settembre erano sauditi.
Con o senza la compagnia dell'ottuagenario re Abdullah, Bibi Netanyahu è culturalmente o ideologicamente convinto che Barack Obama stia preparando una nuova capitolazione uguale a quella di Neville Chamberlain con Hitler, a Monaco 1938: che voglia sacrificare gli amici per una sua idea "liberal" di pace. Qualche giorno fa il giornale israeliano Ha'aretz definiva Netanyahu una «Cassandra compulsiva». Israele era il più minacciato dei Paesi dall'arroganza di Ahmadinejad che si rifiutava di ammettere la Shoah, è comprensibile diffidi dell'Iran. Ma né Obama né l'Europa hanno intenzione di farsi prendere in giro dall'Iran: ritengono semplicemente stupido ignorare i gesti e le parole di Rohani.
È offensivo pensare che all'Occidente non interessi nulla della sicurezza di Israele. Lo testimoniano politiche concrete. La differenza è che oltre all'aspetto militare, irrinunciabile, l'America di Obama e gli europei pensano ci siano anche gli strumenti della politica. Quelli usati dal presidente degli Stati Uniti con la Siria, considerati un mese fa fallimentari e oggi molto meno. Senza la sua minaccia militare e il suo intervento politico oggi si parlerebbe di armi chimiche siriane? Ci sarebbe stata una risoluzione storica del Consiglio di sicurezza sullo smantellamento dell'arsenale di Bashar Assad?
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi