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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 11:39.

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Enrico Letta (Lapresse)Enrico Letta (Lapresse)

ROMA - O ci sono le condizioni per garantire al suo governo l'orizzonte del 2015, e soprattutto vita proficua e dignitosa, o Enrico Letta è sempre più determinato a chiudere l'esperienza delle larghe intese. Gli occhi sono puntati sul travaglio delle "colombe" del Pdl, travaglio che la giornata di ieri non ha ancora chiarito. Letta resta convinto che solo la nascita dal corpaccione berlusconiano di una costola moderata possa rivoluzionare la politica e portare ossigeno al suo governo. Libero, finalmente, di fare le riforme economiche e istituzionali necessarie per superare la crisi e ridisegnare il "campo da gioco" senza più l'ombra del Cavaliere.

I contatti del premier con Angelino Alfano sono naturalmente costanti: il vicepremier dimissionario ieri sera era nel suo ufficio a Palazzo Chigi, dopo le comunicazioni senza dibattito di Silvio Berlusconi ai parlamentari, per fare il punto con i ministri dissidenti. Ma non ci sono molti margini di trattativa: il premier aspetta di vedere come e se si evolverà questo dissenso della parte più moderata del Pdl, consapevole del fatto che è questione tutta interna. Altre soluzioni che non siano il fatto politico nuovo di una scissione del centrodestra non sono prese in considerazione in queste ore a Palazzo Chigi. Letta ha detto chiaramente di non essere disposto a guidare un eventuale governo di scopo che porti il Paese alle elezioni nei primi mesi del 2014 dopo aver approvato la legge elettorale e aver sperabilmente riformato il Porcellum (per questo compito si fanno i nomi di Fabrizio Saccomanni o di Anna Maria Cancellieri). E il "ritorno" di Berlusconi e dei falchi nel governo è ormai escluso per il premier. Domani in Parlamento Letta insisterà molto sulla necessità di separare la vita del governo dalla vicenda giudiziaria del Cavaliere: passaggio volto proprio a tagliare i ponti con il fondatore del Pdl.

Anzi, il timore delle ultime ore è che nella nuova trovata berlusconiana («votiamo Iva, Imu e Legge di stabilità e poi subito alle elezioni) si nasconda l'ennesima trappola: ossia un Pdl pronto a votare la fiducia pensando a un'agenda di pochi provvedimenti ma poi intenzionato alla guerriglia parlamentare appena sarà approvata la decadenza del suo leader da senatore. «Basta ricatti», è la linea del Pd. La stessa linea di Letta, che fa trapelare che la proposta di Berlusconi è «irricevibile». Da qui l'indecisione se mettere o meno la fiducia domani (alle 9.30 al Senato e alle 16 alla Camera). Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini ha spiegato che dopo le comunicazioni di Letta e il dibattito – il tutto trasmesso in diretta tv – potrebbero essere presentate delle mozioni sulle quali il governo potrebbe mettere la fiducia. Tradotto: se il premier capirà che Berlusconi ha deciso di inchiodarlo votando la fiducia eviterà il voto di fiducia e trarrà le sue conclusioni.

Si aspetta dunque lo sviluppo del dibattito interno al Pdl, ultima vera trincea del premier. Le porte dei ministri dissidenti sono rimaste socchiuse anche da un punto di vista formale: Letta infatti non ha distribuito o assunto interim né lo farà prima del dibattito in Aula. Il governo chiederà insomma la fiducia orfano di ben 5 ministri: una soluzione possibile dal momento che, finché non sono accettate dal presidente del Consiglio, le dimissioni dei ministri non diventano operative (si veda l'approfondimento in pagina). Dimissioni congelate, insomma. Qualche segnale di apertura nei confronti dei suoi ministri pidiellini Letta lo darà anche nel discorso in Aula. Sulla volontà di ridurre il peso fiscale su lavoro e imprese, innanzitutto. E forse anche sulla riforma della giustizia: senza il peso della vicenda personale di Berlusconi, discuterne come vorrebbe ad esempio il ministro dimissionario delle Riforme Gaetano Quagliariello non sarebbe più un tabù.

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