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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 07:49.

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NEW YORK - Il denominatore comune fra lo shutdown, la chiusura del Governo nel 1995 e quella di oggi, resta quello della differenza ideologica, l'interminabile braccio di ferro politico per determinare un punto di equilibrio fra Stato e Mercato.
È questa la vera partita in gioco. E non è una partita da poco. I mercati ieri regivano con perdite tutto sommato accettabili, intuiscono che i minuetti di ieri e quelli a cui assisteremo il 17 di ottobre, quando si rischierà addirittura il default del debito Usa se non si troverà un accordo per innalzare il tetto sul debito, saranno più formali che sostanziali.

C'è poi la possibilità di un accordo dell'ultimo istante magari fra due ore o fra un giorno. Ma sul piano politico una volta di più assistiamo al prevalere dell'interesse di parte su quello del Paese o degli elettori. Non è molto diverso da quello che sta capitando in Italia in questi giorni: un Governo, un progetto per la crescita, un rapporto appena instaurato con importanti investitori globali vengono messi a rischio per un interesse molto di parte. Un investitore che aveva visto il presidente del Consiglio Letta ha raccontato a il Sole 24 ore di aver archiviato ogni ipotesi di investire in Italia perché «il caos politico non dà garanzie che certe riforme promesse saranno poi davvero realizzate».
L'altro elemento comune fra questi due momenti caotici di politica interna per Italia e Stati Uniti, riguarda l'esito. Chi resterà col "cerino in mano" in questo braccio di ferro per la conquista dell'opinione pubblica? In America la partita non è chiara. La destra estrema ha deciso di rischiare contro il parere degli anziani, memori della bruciante sconfitta del 1995. In genere, quando la strumentalizzazione politica è chiara, come nel caso dell'ostruzionismo repubblicano, prevale chi è oggetto dell'attacco.

Ma la partita vera è di nuovo un'altra, lo scontro ideologico riguarda le elezioni di metà mandato del novembre del 2014. I repubblicani alle scorse elezioni hanno perso: la presidenza, al Senato, dove i democratici si sono rafforzati; alla Camera dove gli equilibri sono rimasti pressochè invariati. La strategia repubblicana è dunque difensiva, si cerca di mobilitare la base e l'opinione pubblica rimettendo in discussione temi forti come la riforma sanitaria. Si reagisce giocando d'anticipo a un documentario sulla disuguaglianza, sulla caduta della classe media di Robert Reich, ex segretario al Lavoro con Bill Clinton proprio nel 1995. La storia continua, il muro contro muro è più deciso, la polarizzazione non ha ceduto il posto a un nuovo punto di equilibrio attorno al quale governare. È in questa chiave che dovremo seguire gli sviluppi della politica americana nei prossimi mesi. Il mercato lo sa, per questo reagisce più annoiato che preoccupato.

E andrà per la sua strada arrovellandosi più sul Tapering della Fed che su quel che succederà in Parlamento. Sempre che, vista la tensione di questi giorni, il muro contro muro non porti davvero gli Usa in default: allora sì che tutto cambierà, perchè, per una volta si tratta di un film che ancora non ha visto nessuno.
Il muro contro muro politico, la polarizzazione, le provocazioni dei Tea Party, la resistenza dei democratici e della Casa Bianca.

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