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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2013 alle ore 07:04.

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Enrico Letta e Angelino Alfano (Italy Photo Press)Enrico Letta e Angelino Alfano (Italy Photo Press)

«Oggi c'è stato il risultato come lo intendo io, che ci sarebbe stato comunque, per essere chiari fino in fondo, ed è un risultato rispetto al quale ho intenzione di lavorare mantenendo il punto fermo del fatto che non esiste un collegamento tra l'attività di governo e le vicende giudiziarie di qualcuno».

Enrico Letta arriva nel pomeriggio alla Camera per il voto di fiducia dopo una mattinata vissuta sull'ottovolante al Senato, con Silvio Berlusconi incerto tra votare la sfiducia o la fiducia fino all'ultimo secondo utile. Alla fine l'annuncio del voto di fiducia arriva direttamente nell'Aula di Palazzo Madama ed è accolto dal premier con l'espressione "è un grande". Letta non se l'aspettava. Tanto è vero che nella replica, poco prima, aveva avuto la galanteria di ringraziare quanti «hanno lavorato con noi in questi cinque mesi e da domani non lo faranno più».

Ma la giravolta del Cavaliere, che torna sul treno già in corsa del governo per evitare una plateale spaccatura del centrodestra, non cambia il punto di vista del premier. La fiducia al governo ci sarebbe stata comunque, con o senza Berlusconi. E lo dice chiaramente a Montecitorio, tra gli applausi liberatori dei deputati del Pd: «Si lavorerà con una maggioranza politica coesa: se questa maggioranza è diversa dalla maggioranza che mi dà la fiducia, lavorerò lo stesso con la maggioranza politica. È essenziale che ci sia chiarezza. L'Italia ha bisogno che non ci siano più ricatti, tipo "si fa questo o cade il governo", anche perché si è dimostrato che il governo non cade».

Berlusconi ridotto all'ininfluenza, dunque. «Oggi è un giorno storico – dice ancora Letta –. Abbiamo condizioni in più di chiarezza che ci consentono di guardare lontano». Il fatto storico è evidentemente lo strappo di Angelino Alfano, di tutti i ministri e di mezzo Pdl (a cominciare dall'ex capogruppo Fabrizio Cicchitto che alla Camera ha annunciato la formazione di un gruppo autonomo).

La vittoria di Letta sarebbe stata totale se Berlusconi avesse scelto la strada della sfiducia chiudendosi nella ridotta dei "falchi", ma comunque è una vittoria importante che passa per il ridimensionamento, fino all'irrilevanza numerica, di chi fino a pochi giorni fa minacciava le elezioni anticipate ponendo addirittura la data del 24 novembre, come non ha mancato di stigmatizzare Letta. Da domani inizia certamente un altro film. Ma la fase è delicata, e il premier – pur non entrando naturalmente nelle vicende interne del Pdl – segue la vicenda della formazione di gruppi autonomi nelle due Camere, che servirebbe a dare l'evidenza anche plastica che il Cavaliere non ha più in mano l'interruttore della vita del governo. Purché, naturalmente, non si tratti di pochi parlamentari.

Si vedrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Quello che per ora si rimarca a Palazzo Chigi è che, al di là di quella numerica, da domani ci sarà in Parlamento una maggioranza politica «omogenea al clima che si respira all'interno del governo». Certo le differenze tra il Pd e la parte moderata del centrodestra ci sono comunque, a cominciare dai nodi economici come l'Imu. Ma il «metodo sperimentato bene fin qui all'interno del governo, ossia l'affrontare i problemi nel merito fino ad arrivare a un compromesso, può finalmente diventare anche il metodo di lavoro in Parlamento». Perché il Paese non se lo può permettere, soprattutto, e «gli italiani non ne possono più». Al lavoro, dunque. A cominciare dalla Legge di stabilità da varare entro il 15 ottobre (si veda pagina 13), che avrà come «cuore» quella riduzione del cuneo fiscale su lavoratori e imprese a cui Letta tiene moltissimo (il premier ha citato anche il patto di Genova tra Confindustria e sindacati facendone quasi una bussola per le prossime scelte di politica economica). Fino alle necessarie riforme costituzionali e alla modifica della legge elettorale («il Porcellum è il male assoluto», ha ribadito).

Il segno di vittoria con il quale ieri si è congedato dalla Camera mostra la reale soddisfazione di Letta alla fine di una settimana difficilissima. E a tarda sera, incassata la piena fiducia e con la prospettiva (quasi) dell'intera legislatura, arriva anche la consapevolezza del peso della responsabilità. «Senza Berlusconi e i suoi continui ricatti non ci sono più alibi – è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi –. È davvero l'ora delle riforme».

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