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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2013 alle ore 09:45.

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Così la camorra metteva le mani sul trasporto di ortofrutta in Campania

L'Iva della camorra vale tre euro a bancale, più o meno. Circa mille euro a viaggio. Che cosa sarà mai? direte voi. Eppure, è anche per questo che il prezzo di un chilo di mele o di pere o di arance aumenta, dal mercato alla tavola, di oltre il 200 per cento (fonte Coldiretti). E si tratta di un costo che viene scaricato interamente sul consumatore, su chi – insomma – quei prodotti li addenta a casa, seduto a tavola. Produttori, trasportatori e intermediari vari si guardano bene dal diluirlo nei vari passaggi, facendo gravare soltanto sull'acquirente finale il valore aggiunto che la filiera dell'ortofrutta campana deve corrispondere alla criminalità organizzata. Un meccanismo perverso emerso nell'ultima inchiesta antimafia in cui i carabinieri di Mondragone hanno arrestato sette persone per associazione mafiosa, finalizzata alla commissione dei delitti d'illecita concorrenza mediante minaccia e violenza, e di fittizia attribuzione di beni, con l'aggravante dal metodo mafioso. A parte un paio di soggetti già noti alle cronache (il boss Giacomo Fragnoli e il suo "assistente" Emilio Boccolato) il resto della combriccola finita sott'inchiesta è formato da autotrasportatori e padroncini che hanno deciso di vendere l'anima al diavolo. Compresi i due titolari di un'azienda che, dopo gli attentati che ne avevano azzerato il parco mezzi con autobombe e incendi, per sopravvivere hanno dovuto convincersi a lavorare per il clan. Il settore dell'ortofrutta, in provincia di Caserta, era in pratica controllato dalla camorra che utilizzava il paravento del "Consorzio autotrasportatori" per tentare di sviare indagini e controlli delle forze dell'ordine. Una scatola vuota che il padrino di Mondragone Augusto La Torre aveva creato una ventina di anni fa per monopolizzare il business e che poi, con la detenzione e il pentimento del boss, è passata in gestione ai nuovi capi assumendo, di volta in volta, varie denominazioni e anche la forma di una cooperativa e di un'agenzia di intermediazione per il trasporto dei prodotti ortofrutticoli.

«In un Paese come l'Italia dove oltre l'86 per centro dei trasporti commerciali avviene su gomma, la logistica – ha commentato la Coldiretti - incide per in misura rilevante sui costi di frutta e verdura. L'operazione dei carabinieri conferma che le imprese agricole e i consumatori subiscono l'impatto devastante delle strozzature di filiera su cui si insinua un sistema di distribuzione e trasporto gonfiato e alterato troppo spesso da insopportabili fenomeni di criminalità che danneggiano tutti gli operatori».

E non si tratta di ricostruzioni in vitro. Ci sono le prove, ci sono gli indizi che l'ortofrutta è diventato uno dei nuovi canali di arricchimento illecito della Bestia. Sono sempre i Casalesi a fare scuola, in questo campo. Per evitare problemi di competenza territoriale, racconta un'altra inchiesta della Dda, hanno stretto un asse di ferro con Cosa nostra e la famiglia che fa capo a Gaetano Riina, il fratello di Totò 'u curtu. Non uno qualunque, insomma. Insieme, Casalesi e mafia siciliana, hanno sbaragliato non solo la concorrenza lecita, ma anche quella illecita estromettendo le imprese mafiose riconducibili alla cosca 'ndranghetista dei De Stefano di Reggio Calabria e a quella dei Mallardo di Giugliano in Campania che pure avevano maturato una certa esperienza nel settore. In ballo, c'è il controllo del trasporto della frutta verso i mercati di Fondi (il più grande d'Europa), Giugliano, Pagani e Nocera. Un business da paura.

Camaleontici, così sono descritti nell'indagine del pm Antimafia di Napoli Cesare Sirignano, i gruppi criminali di Caserta. Perché per impadronirsi degli affari e dei territori hanno adottato una strategia di annessione assai articolata. Che solo in ultima istanza prevedeva il ricorso alla violenza. Il passepartout, in questo caso, era un'azienda che si chiama "La Paganese", nata sotto l'ala protettrice degli Schiavone di Casal di Principe. Si presentava come leader del mercato, ai futuri nuovi clienti, il proprietario Costantino Pagano. Solo che, nel segreto delle stanze della società, quando non pensava di essere intercettato dagli investigatori, il kapò della ditta si rivelava per quello che era: «Trecento chilometri quadrati trovi solo la Paganese… sono otto anni che solo la Paganese… e non apre nessuno… perché voi andate giù in Sicilia … i Madonia… gli Emmanuello… nessuno ti guarda qua… qua non comanda nessuno… allora è tutto un casino… almeno noi qua abbiamo invaso il discorso… da qua… fino a Roma, da qua no fino a Roma… fino a Milano… comandiamo vero noi… da qua fino ad Avezzano… ci sono camorristi da tutte le parti…».

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