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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2013 alle ore 15:12.

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Marcelo Lippi (a sinistra) e Julio Velasco (Olycom)Marcelo Lippi (a sinistra) e Julio Velasco (Olycom)

I numeri e i trofei, prima di tutto. In Italia, cinque scudetti, quattro Supercoppe italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa europea. Tutti raccolti alla guida della Juventus, che con lui al comando metteva in fila tutti quanti. Anche in Europa. In Cina, storia iniziata per diletto e voglia di avventura nel maggio dello scorso anno, altra gloria, altri trionfi: due campionati e una Coppa di Cina. Tre titoli in 16 mesi. E poi, certo, come dimenticare il Mondiale tedesco del 2006? La gioia di un Paese intero, che ha accompagnato il cammino degli azzurri con un entusiasmo che non si vedeva da tempo.

In tutto, fa 17. E il bilancio potrebbe essere aggiornato a stretto giro di posta perché presto potrebbero aggiungersi un'altra Coppa di Cina e la Champions League asiatica, che pure se non è nemmeno lontanamente paragonabile per interpreti e livello di gioco all'edizione europea fa sempre il suo figurone in bacheca. Marcello Lippi da Viareggio, anni 65, ha ancora una voglia matta di allenare e di vincere. In Cina è già un mito, tanto che dopo il secondo scudetto consecutivo alla guida del Guangzhou Evergrande lo vogliono sulla panchina della Nazionale.

«I tecnici italiani sono i migliori al mondo», spiega euforico Lippi da Canton, sede del club che si è confermato campione di Cina. «Non dico io, Ancelotti, Spalletti e quelli dei grandi campionati, intendo tutti, comprese le serie minori: non c'è confronto con il resto del mondo». L'ex tecnico della nazionale non ha considerato Capello, Trapattoni e De Biasi, ma loro tre guidano selezioni nazionali, altro percorso, altre necessità. Lippi è riuscito nell'impresa tutt'altro che certa di dare contenuti e possibilità a un club che aveva il denaro per sognare in grande ma poche idee per investirlo come si deve. La trasformazione si è compiuta in meno di un anno con l'arrivo di un paio di giocatori che hanno fatto la differenza.

L'uomo della svolta? Il brasiliano Elkeson, 24 anni, prelevato dal Botafogo per poco meno di 6 milioni di euro. Il secondo scudetto dell'Evergrande porta la sua firma. Ha segnato 23 gol in 26 partite e ha preso per mano la squadra nei momenti caldi della stagione, dominata in lungo e in largo dai giocatori di Lippi (22 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta a tre turni dalla fine del torneo). «Il Guangzhou può giocare tranquillamente in Serie A, darebbe filo da torcere da tante squadre», ha spiegato il tecnico tra gli osanna di un pubblico in delirio. Verrebbe quasi da credergli.

Seimila chilometri più a Ovest, c'è un italiano d'adozione che sta scrivendo alcune delle pagine più importanti della pallavolo asiatica. Il suo nome regala emozioni ancora oggi agli appassionati di casa nostra. Stiamo parlando di Julio Velasco, straordinario protagonista di due lustri da favola per il volley azzurro (due mondiali, cinque World League, un campionato del mondo e un argento olimpico, tanto per dire dei suoi successi più importanti) che da due anni predica pallavolo in Iran con risultati che hanno dell'incredibile. Velasco ha conquistato nel weekend il secondo campionato asiatico surclassando (3-0) una Corea del Sud mai in partita. Un traguardo storico, memorabile, per uno sport che da quelle parti non è mai stato così seguito.

«A Teheran la gente è in piazza a strombazzare con l'auto. Manifestazioni così fino a poco tempo fa c'erano solo per il calcio. Adesso ci sono anche per la Nazionale di pallavolo, che con questi successi ha fatto diventare il volley lo sport più popolare», ha detto Velasco, comprensibilmente orgoglioso del traguardo raggiunto. L'ennesimo della sua travolgente carriera, ricca di soddisfazioni anche alla guida delle squadre di club (vedi i quattro scudetti consecutivi a Modena). L'Iran come l'Italia che fu. «Adesso posso dire – ha spiegato il tecnico di passaporto argentino – che mi pare di avere rivisto, per certi versi, quello che avevo provato con l'Italia, che non subiva nulla». Il cerchio che si chiude.

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