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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2013 alle ore 06:45.

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Gravano sul naufragio di Lampedusa troppe domande rimaste finora senza risposta. Il racconto di una barca fantasma carica di 500 esseri umani che in buone condizioni meteo solca la linea quasi perpendicolare che separa Misurata, in Libia, dal porto di Lampedusa. E poi, intorno alle 6 della mattina di giovedì, rimane in attesa a poco più di un miglio dall'imboccatura del porto.
Nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno ha intercettato la barca né sui radar né de visu. E al largo di Lampedusa incrociano motovedette della Guardia di Finanza (che nel 2011 ha ricevuto svariati milioni di finanziamento dal Frontex per rafforzare le attività di polizia di frontiera, e non di salvataggio, sul canale di Sicilia), la Guardia Costiera, fregate della Marina militare, aerei ed elicotteri, senza calcolare le imbarcazioni da diporto, i mercantili e i pescherecci che prima dell'alba lasciano il porto per raggiungere lo specchio di mare dove la sera prima hanno srotolato le reti.
Sembra poco plausibile, così come semina più di qualche perplessità il modello organizzativo della Guardia costiera, i cui meriti sul campo sono indiscutibili ma che suggerirebbe qualche aggiustamento. Primo tra tutti la struttura gerarchica: Lampedusa ha lo status di ufficio circondariale marittimo, in gergo "circomare", il livello organizzativo che partendo dal basso viene dopo le delegazioni di spiaggia e gli uffici locali marittimi. A comandare gli uffici circondariali è sempre un tenente di vascello di prima nomina, in questo caso Giuseppe Cannarile, un ufficiale intorno ai trent'anni che non può contare neppure sul conforto di un comandante in seconda, di solito non previsto in strutture così piccole. A Cannarile, sempre come policy interna, spetta il coordinamento di tutte le forze in mare, compresi i mezzi della Marina militare, delle Fiamme Gialle e dei Carabinieri. Nessuno dei grandi capi romani, sulla scorta dell'esperienza di questi anni, ha pensato di conferire al circomare dell'isola uno status speciale o elevarla di rango, di cui si fregia invece la più placida Capitaneria di Porto Empedocle, in gergo "compamare", in provincia di Agrigento come Lampedusa, guidata dal comandante Rinaldo di Martino, il capo da cui dipende il tenente di vascello Cannarile. Come dire: i giovani al fronte, i più esperti nelle retrovie.
Il criterio si capovolge quando si analizzano le posizioni di vertice della Guardia costiera: nel corso del 2010 si sono avvicendati tre comandanti generali, tutti a fine carriera e tutti premiati con le stellette, anche solo per qualche mese, di ammiraglio ispettore capo, un grado che include benefici retributivi e pensionistici adeguati alla stazza. Dunque, i più vecchi in alto, i meno anziani in basso e, di solito, soli. Complessa anche l'organizzazione funzionale della Guardia costiera, un corpo della Marina militare che dipende dal ministero delle Infrastrutture dopo l'abolizione della Marina mercantile. Altri ministeri o dipartimenti, dai Beni culturali all'Ambiente, interagiscono con un esercito di quasi 11mila tra uomini e donne, cui tocca una mole non indifferente di impegni burocratici, compresi gli esami e il rilascio delle patenti nautiche. Se si vuole che abbiano qualche valore le affermazioni di questi giorni – «mai più una tragedia simile» – non sarebbe il caso di scorporare le attività di ricerca e soccorso in mare, denominate Sar, dall'inglese search and rescue?
Dagli alti gradi della scala gerarchica a quelli dell'avamposto lampedusano, dove in questi giorni il portavoce della Guardia costiera ha spiegato che i salvataggi avvengono sempre su sollecitazione degli scafisti, che si annunciano con i telefoni cellulari o i Gsm. Un salvataggio su chiamata, insomma. E se la telefonata non parte, com'è avvenuto giovedì per cause che gli inquirenti dovranno accertare? Possibile che tutto sia demandato all'intraprendenza dello scafista?
Altro tema è la riconoscibilità del naviglio. Il sito marinetraffic.com fornisce in tempo reale la posizione di tutti i mezzi che galleggiano sui mari del pianeta: ogni imbarcazione ha un identificativo che viene intercettato dai radar o dai satelliti. Ci sono ovviamente le barche non identificabili, come quella che trasportava i migranti eritrei e somali, la cui presenza viene registrata sugli schermi della Capitaneria come priva di un codice. Va da sé che nel canale di Sicilia un'imbarcazione non identificata abbia alte probabilità di contenere esseri umani.
La mattina del 3 ottobre la Guardia costiera è stata allertata da Vito Fiorino, proprietario di una barca di pesca turismo con un gruppo di ospiti a bordo, uno dei quali sente i lamenti dei naufraghi intorno alle 5.30. «I nostri equipaggi erano rientrati alle quattro, distrutti dopo una lunga operazione di salvataggio: abbiamo ricevuto l'allarme solo alle sette del mattino. In sedici minuti la prima motovedetta era sul posto», spiega Marini. C'è una discrasia tra quanto sostiene Fiorino e la versione del portavoce della Capitaneria di porto. Ma il fatto più inquietante è che, a dramma consumato, sia stato necessario che qualcuno avvertisse la Guardia costiera, ancora ignara della strage a un miglio dai suoi uffici e con il sole ormai alto.
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