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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 19:21.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:35.

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Consulenze nel mirino del decreto Pa, dopo che un emendamento appena approvato dall'Aula del Senato ha introdotto un ulteriore giro di vite del 10% sui "pareri" esterni il cui tetto di spesa per il 2014 passa dal 90% all'80 per cento. Un segnale positivo, che dovrebbe essere accompagnato da una maggiore trasparenza, ancora carente in un settore dove i risparmi potrebbero essere ben maggiore. A dirlo è Assoconsult, l'associazione di Confindustria che riunisce le società di consulenza che auspica tagli fino all'80% della spesa.

Ricorso eccessivo all'in-house, controlli e concorrenza a rischio
«Le stime delle spese in consulenza nella Pa - spiega Ezio Lattanzio, presidente Assoconsult - parlano di due miliardi, in realtà potrebbero essere il doppio. Di queste spese, non solo si può tagliare il 50%, ma arrivare fino all'80%. E col valore rimasto, il 20% della spesa di oggi, si potrebbe riformare l'intera Pa». Ma il nodo da sciogliere è quello della trasparenza, il cui livello in Italia «è tra i più bassi d'Europa», sottolinea Lattanzio, che stima nel 12% la percentuale della spesa pubblica in consulenza oggetto di gara. Il problema nasce dall'eccessivo ricorso all'in house, «fenomeno molto diffuso, per cui la Pa crea strutture di consulenza interne e affida ad esse gli incarichi, senza controllo e concorrenza». Altro problema è quello della spesa «distribuita in una miriade di micro incarichi a persone fisiche, con il ragionevole dubbio del ritorno di valore aggiunto».

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