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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 06:39.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
Annunciata come la più grande privatizzazione alle spalle solo di British gas, l'offerta pubblica di Royal Mail, le poste britanniche, sta trasformandosi in un imbarazzante caso politico. Lo denunciano le opposizioni convinte che per guadagnare consenso il governo di David Cameron abbia mimato Margaret Thatcher, piazzando sul mercato un gioiellino a prezzi di saldo. Il valore del titolo fissato ieri sera è infatti di 330 pence, punto più alto della forchetta che aveva in 260 pencela soglia minima. Un numero che porta a 3,3 miliardi di sterline il valore della secolare istituzione britannica.
Poco, pochissimo dicono i laburisti, sventolando le valutazioni di analisti della City. E tanto basta per scommettere sul balzo che il titolo farà questa mattina al debutto sul grey market e soprattutto martedì, giorno dell'arrivo sul listino ufficiale. Paddy Power, una delle maggior società di gioco d'azzardo, considera favoritissimo il premio più elevato, quello che immagina uno sconto da capogiro: 30-35 per cento da incassare già questa mattina, nel corso dei limitati scambi "non ufficiali". Paddy Power dimostra di credere alla tesi che gira nel Miglio Quadrato londinese dove a fianco di chi, in forma anonima, dice che la società è stata sottovalutata di più del 90%, c'è chi ci mette la faccia per denunciare che se il Tesoro raccoglierà 1,7 miliardi dai valori di collocamento significherà incassare una punizione inflitta a sé stesso di almeno un miliardo di sterline. Per lo stockbrocker Canaccord Genuinity, infatti, il prezzo dell'Ipo avrebbe dovuto essere 599 pence, ovvero un valore l'82% superiore a quello del collocamento. Gli analisti aggiungono poi che nel 2015, a fronte di un taglio del 3% del personale, Royal Mail potrà valere almeno 10 miliardi di pound, il triplo di quanto oggi indica il Tesoro. Alle spalle di Canaccord si accodano valutazioni di altri istituti meno generose, ma ugualmente divergenti da quelle dell'esecutivo. Per Panmure, infatti, le poste di Sua Maestà hanno un valore non inferiore a 4,5 miliardi, ovvero il 38% circa più del collocamento, mentre IG si attende un guadagno istantaneo per gli azionisti non inferiore al 21% nei primissimi scambi di oggi.
Bagatelle per un massacro, verrebbe da dire, a conferma che le privatizzazioni in Gran Bretagna non solo no finiscono mai, ma restano strumento di straordinario successo (salvo poche eccezioni) ad alto tasso di conflittualità. Per arrivare alla cessione di Royal Mail ci sono voluti anni, poi la crisi ha creato il contesto ideale per accelerare una dismissione che David Cameron ha voluto rendere esemplare, rispolverando il modello della politiche Tory lanciate da Margaret Thatcher e proseguite con John Major.
Toccare le poste è stata però cosa delicata. È un servizio carissimo ai cittadini del Regno e anche per questo il governo ha visto richieste di titoli sette volte superiori al previsto, con 700mila domande - come fu per British Telecom, metà di British gas - da parte di privati, ai quali si affiancano gli istituzionali. L'esecutivo ha scelto di favorire i micro azionisti premiando coloro che avevano richiesto il taglio minimo di titoli (750 sterline) e penalizzando gli ingordi: chi ha cercato di sottoscrivere azioni pari a 10mila pound non ne avrà nessuna. Inoltre è stata corretta la quota, portando i privati al 33% del totale collocato contro il 67% destinato agli istituzionali. Una variazione del 3% rispetto ai programmi iniziali, considerato un altro abile tentativo di imbonire l'elettorato più pronto a scommettere sulle scelte del governo.
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