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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2013 alle ore 14:55.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:38.

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Alla presenza del Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, le prime 4 paratie mobili (su 78 previste) del M.o.s.e., il sistema di dighe mobili per salvare la laguna di Venezia dall'alta marea e dall'acqua alta. I cantieri del Mose vedono attualmente impegnati (con l'indotto) circa 4.000 unità di personale, e l'avanzamento dei lavori è all'80 per cento. Ma servono subito soldi per non fermare la macchina. «Il Governo deve subito stanziare, nella legge di stabilità 2014, almeno 401 milioni di euro per consentire al Consorzio Venezia Nuova di completare la costruzione del sistema Mose entro la scadenza contrattuale del 31 dicembre 2016. Altri 226 milioni, per le opere di compensazione ambientale, potrebbero in teoria arrivare anche dopo, nel 2015».

A sostenerlo è Mauro Fabris, presidente del Consorzio, la società concessionaria dello Stato (dal 1984) per la realizzazione di tutte le opere di salvaguardia di Venezia, oggi costituita da alcune delle maggiori imprese di costruzione italiane, tra cui in ruolo chiave Condotte d'Acqua, Mantovani e Grandi Lavori Fincosit (Gruppo Mazzi), e poi Astaldi, Technital, Pietro Cidonio, Ccc, e una serie di consorzi di imprese venete (Veneto cooperativo, Grandi restauri veneziani, Venezia Lavori, San Marco costruttori). Il costo complessivo del progetto Mose è di 5.493 milioni di euro, di cui 4.934 per il sistema delle dighe mobili "in senso stretto", circa 333 milioni per opere tecnologiche strettamente connesse alle dighe (e anche per allestire il centro di gestione all'Arsenale di Venezia), e infine 226 milioni di opere di compensazione ambientale.

Queste ultime sono opere imposte negli anni scorsi dalla Commissione europea, in accordo con il Governo italiano, in seguito a procedura di infrazione, e devono essere realizzate «contestualmente» al Mose». Al momento sono state stanziate, da parte dello Stato, risorse per 4.867 milioni di euro, di cui 3.704 materialmente erogate al Consorzio (quel che manca viene da anni reperito dal Consorzio tramite prestiti bancari, con la garanzia del rimborso statale). Le risorse disponibili, in base alla legge di stabilità 2013, ammontavano a 1.094 milioni, facendo così salire il totale a 4.987 milioni, ma 120 sono stati dirottati a fine agosto dal Governo, con il Dl 102, a copertura della cancellazione della prima rata dell'Imu. «Abbiamo fatto il punto con le imprese la settimana scorsa – spiega Fabris – e siamo in grado di confermare il termine di fine 2016.

Ma è fondamentale che nella legge di stabilità siano inserite le risorse mancanti, in tutto 626 milioni di euro». «Le risorse indispensabili – aggiunge il presidente del Consorzio – per completare il sistema di dighe mobili entro il 2016 sono pari a 401 milioni; i 226 milioni per le opere ambientali potrebbero in teoria essere stanziate dopo, anche se – aggiunge – c'è stato un impegno con la Ue e gli enti locali». Mauro Fabris, già sottosegretario ai Lavori pubblici a fine anni novanta e di recente commissario governativo per la ferrovia del Brennero, è stato nominato presidente del consorzio il 29 giugno scorso insieme al direttore generale Hermes Redi (entrambi esterni alla struttura) in seguito alle dimissioni dell'allora presidente e direttore Giovanni Mazzacurati, dopo trent'anni al vertice del consorzio. Pochi giorni dopo (13 luglio) Mazzacurati e altri due dirigenti del Consorzio venivano messi agli arresti domiciliari dalla Procura di Venezia con l'accusa di turbativa d'asta e appalti truccati, ma per lavori non riguardanti il Consorzio stesso. «Le inchieste non toccano il Consorzio – afferma Fabris – e non incidono sul percorso realizzativo».

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