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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2013 alle ore 09:20.

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La scommessa di Sarmi e le sfide del salvataggio

Per Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane, l'operazione Alitalia è stato un vero fuori-programma. Prima di mercoledì sera, quando il premier Enrico Letta lo ha convocato a Palazzo Chigi per spiegargli il piano del Governo, nessuno gli aveva mai prospettato neppure l'ipotesi di un suo coinvolgimento nel salvataggio della compagnia: in passato si è parlato più volte di Poste Italiane come possibile «acquirente di ultima istanza» del Monte dei Paschi di Siena, come fulcro di una nuova banca del Mezzogiorno e persino come possibile partner di Telecom Italia, ma mai di usare le Poste come salvagente di Alitalia.

«Se il Governo si è rivolto alle Poste - ha confidato Sarmi ai suoi più stretti collaboratori - è per la nostra capacità di integrare nuovi business: e poi, a ben vedere, siamo anche la sola azienda di Stato ad avere una compagnia aerea low cost pienamente operativa». Ma queste sono considerazioni generali. Per Sarmi, la cui carriera di public servant è cominciata come ingegnere dell'Aeronautica militare, la preoccupazione maggiore è stata fin da subito non la sfida delle sinergie, il modello d'impresa o l'integrazione dei business: «Il vero fattore critico di questa operazione - ha detto al suo staff - è l'approccio con l'opinione pubblica, i risparmiatori e il mercato: non possiamo permetterci di dare l'impressione di voler mettere a rischio il risparmio postale con avventure senza sbocco».

In altre parole, la preoccupazione di Sarmi non sono certamente i 70 milioni che saranno investiti nell'aumento di capitale, cifra irrisoria davanti ai 24 miliardi di euro di ricavi con oltre un miliardo di utile realizzati dal gruppo postale: la sua vera preoccupazione è dimostrare che il ruolo delle Poste non sarà solo quello di partner finanziario e che l'ennesimo salvataggio di Alitalia, se ben costruito, può diventare una nuova opportunità di crescita non solo per la sua azienda e per il vettore, ma soprattutto per il Paese e le sue imprese.

«In 10 anni di lavoro - ha ribadito ieri dopo il vortice di incontri sull'operazione Alitalia - Poste Italiane sono diventate una conglomerata dei servizi in grado di generare l'80% dei ricavi in settori diversi da quello postale». Grazie al polmone finanziario del risparmio postale e a una rete con oltre 13mila sportelli, il gruppo è oggi un colosso della gestione finanziaria e del risparmio, un asset manager di calibro internazionale. Ma tra le nuove attività, le Poste dispongono anche di una piccola compagnia aerea, la Mistral, con cui fanno voli cargo-postali e trasporto passeggeri low cost. Sarmi non nasconde che Mistral sia piccola, ma è sicuro che potrebbe garantire sinergie importanti con Alitalia nel nuovo piano industriale che sarà presto messo a punto. I voli postali italiani, per esempio, viaggiano di notte con pacchi e posta e tornano poi a Roma generalmente vuoti: domani, attraverso un adattamento degli aeromobili, potrebbero fare il viaggio di ritorno con i passeggeri paganti, togliendo ad Alitalia l'onere attuale di dover coprire tratte su cui gli aerei viaggiano generalmente vuoti.

Ma nei piani di Sarmi c'è anche di più: utilizzare l'esperienza in campo postale per fare della nuova Alitalia un vettore delle merci e dei prodotti «made in Italy» che oggi volano verso Oriente con altre compagnie. L'idea, in pratica, sarebbe quella di sfruttare la tenuta del nostro export e il boom del commercio elettronico per garantire nuovi affari sia alle Poste sia alla «nuova Alitalia»: del resto, il turismo è importante e importanti sono i viaggiatori d'affari, ma nell'era dell'e-commerce e delle spedizioni veloci da una parte all'altra del mondo, è la flessibilità d'uso degli aerei che può fare la differenza nell'equilibrio finanziario di un vettore. Dopo le opportunità, i rischi: Sarmi è ben consapevole che senza un vero partner industriale di portata globale l'operazione Alitalia difficilmente potrà avere successo.

Air France resta il candidato numero uno per questo ruolo, ma non ci sono preclusioni verso nessuno: «Non credo che Air France - voglia buttare i soldi spesi finora - avrebbe detto Sarmi dopo il cda Alitalia di ieri - e quindi ritengo che resterà tra i soci anche con l'aumento di capitale. Se non volesse restare, si cercherà qualcun altro: noi faremo la nostra parte, ma un partner del settore è fondamentale per il successo dell'operazione». Se queste condizioni si realizzeranno, il sogno di un salvataggio che si trasforma in opportunità di politica industriale sarà meno astratto.