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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 08:46.

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BARI. Dal nostro inviato
C'è il tempo dei sindaci che devono decidere sul momento e c'è il tempo di Roma, che rinvia rallenta rimanda. La corsa di Matteo Renzi verso la segreteria del Pd comincia da qui, dal concetto di tempo. Semplificazione dello Stato, occupazione giovanile, competitività delle imprese: «Negli ultimi 20 anni l'Italia ha perso tempo. Abbiamo avuto discussioni continue senza risolvere i problemi del Paese e delle persone. Abbiamo perso tempo e occasioni». E ancora: «In questi 20 anni un intero establishment politico ha fallito. Ora noi siamo qui per dire che cambiare è l'unica soluzione. Dobbiamo restituire una speranza».
Cambiare verso, appunto, come recita lo slogan della campagna renziana. Roma che rimanda e rinvia, e il fallimento di un intero establishment: qualcuno ha voluto vedere in questi accenni una pungolatura verso Enrico Letta. Ma dai tempi della rottamazione pura e dura è cambiato quasi tutto, ed è cambiato anche Renzi: quello di ieri a Bari è stato un discorso pacato nei toni ma forte nei contenuti politici. Sul governo poche parole, a ribadire la "tregua" armata siglata a Palazzo Chigi nei giorni difficili del voto di fiducia: «Noi non facciamo un congresso per capire quando dura il governo. Il governo si caratterizza dalle cose che fa. E se fa cose utili al Paese, siamo a fianco del governo. Se non lo fa, noi lo diremo. Ma senza mettere bandiere alla Brunetta, bensì dicendo cosa si può fare». Lui, il premier, riconosce da Venezia al sindaco di Firenze di essere stato in queste settimane «solidale» e di aver avuto un atteggiamento «utile» per il Paese: «Difendo quello che stiamo facendo convinto che sia la cosa giusta per il bene dell'Italia», ribadisce Letta.
Ma l'ex rottamatore già parla da segretario eletto quando avverte che il "suo" Pd non voterà amnistia e indulto: un segnale forte al premier e al governo delle larghe intese, certo, ma anche al Capo dello Stato che nel suo messaggio alle Camere ha invitato il Parlamento ad esaminare la questione. «Affrontare così il tema è un clamoroso errore, un autogol – dice Renzi –. Come facciamo a spiegare ai ragazzi il valore della legalità se poi ogni sei anni, quando le carceri sono troppo piene, buttiamo fuori un po' di gente». Per Renzi il problema si risolve rivedendo due leggi che hanno contribuito a riempire le carceri di immigrati e di persone con problemi di tossicodipendenza: la Bossi-Fini e la Giovanardi. «Basterebbero i nomi per cancellarle – dice con una delle poche battute che si concede –. Ma dobbiamo cambiarle perché non hanno funzionato. E va rivista anche la custodia cautelare». Renzi sa che sulla questione dell'amnistia ha dietro di sé buona parte del Pd, che non può permettersi cedimenti sulla giustizia con il Cavaliere ancora in campo (non a caso il segretario uscente Guglielmo Epifani ha usato ieri concetti simili). E ad allontanare sospetti di "inciucio" interviene su questo punto lo stesso Letta: «Non sono d'accordo perché il messaggio del Capo dello Stato chiarisce che non c'è nessuna ambiguità, che la vicenda Berlusconi non c'entra», dice sempre da Venezia il premier difendendo «il miglior presidente della Repubblica che possiamo avere».
Altro tema caldo la legge elettorale. E anche qui il sindaco di Firenze parla già da segretario: contro ogni tentazione di rendere permanenti le larghe intese arriva l'annuncio di un'iniziativa parlamentare entro novembre. «No al grande accordo che dura per sempre – scandisce Renzi –. Perciò iniziamo col dire che queste primarie non servono per definire chi è più simpatico o bravo, ma per dire chiaramente che saremo le sentinelle del bipolarismo». Il sistema elettorale del "sindaco d'Italia" diventerà dunque proposta nelle prossime settimane alla Camera. Bisogna togliere la legge elettorale dal Senato per iniziare dalla Camera, dove «i numeri con Scelta civica e Sel ce li abbiamo», dice Renzi senza giri di parole. Ed è chiaro il riferimento alla proposta di sistema spagnolo (un proporzionale corretto) depositata in Senato da Pdl (Donato Bruno) e Pd (Doris Lo Moro). E la legge del "sindaco d'Italia", spiega il deputato Dario Nardella presente a Bari al fianco di Renzi, altro non è che il doppio turno di lista o di coalizione, ossia la proposta D'Alimonte-Violante suggerita anche dal rapporto dei 35 saggi nominati da Letta. A scanso di equivoci...
«Un discorso corretto verso il governo», ammette a fine giornata il lettiano Francesco Boccia, sostenitore di Renzi ma ieri assente da Bari per altri impegni. Boccia crede, e non da ora, che un segretario forte in un Pd forte non può che giovare allo stesso Letta: «Renzi indica la strada dicendo correttamente che non sarà una passeggiata. Iniziamo a spingere tutti insieme il carro, il resto verrà». Già, perché la vera sfida per la premiership del centrosinistra è solo rimandata. Come dimostra il duetto di ieri sulla questione amnistia, che c'è da credere non sarà l'ultimo.
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