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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2013 alle ore 06:37.

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Vera Viola

Sette le società ex Invitalia, sei delle quali trasferite a costo zero e con bilanci vergini alle regioni meridionali tra il 2007 e il 2012, conservando per intero gli organici che oggi ammontano complessivamente a 400 persone circa. Dapprima sopravvivono grazie ai fondi del titolo II della legge 185 del 2000 (incentivi alle piccole aziende erogati da Invitalia), ma il 26 aprile 2013 il ministero chiude i rubinetti. La situazione precipita: quasi tutte hanno bilanci in perdita, sono state messe in liquidazione, le regioni stanno pensando al riordino, mentre i dipendenti – che in molti casi da mesi non prendono lo stipendio – temono per il proprio futuro. Un problema "sistemico" per i sindacati, tanto che il 30 settembre scorso Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro al ministero dello Sviluppo economico.
Unica eccezione al panorama di crisi è rappresentata da Sviluppo Puglia. La regione ha da sempre affidato compiti e risorse avendo peraltro fatto un migliore uso anche dei fondi europei.
In Campania, invece, a due anni dalla regionalizzazione, a quanto sembra, la società pubblica ha maturato perdite per oltre 800mila euro e anche l'andamento dei conti del 2013 presenta criticità. Tra le cause del deficit indicate dai vertici aziendali c'è un organico pesante: ai 58 dipendenti se ne sono aggiunti altri per via giudiziaria: sulla società di sviluppo si abbattono 31 cause di lavoro, di cui 21 concluse con il reintegro, che per 6 lavoratori è già avvenuto.La Regione guidata da Stefano Caldoro ha predisposto un nuovo disegno di legge per il riordino delle società partecipate, approvato dalla Giunta e da dopodomani all'esame del Consiglio. Il piano prevede l'incorporazione in Sviluppo Campania di altre otto società controllate – Efi, Cithef, Mostra D'Oltremare e Acn, Asse e Tess oltre a Campania Innovazione e Digit Campania – la ricapitalizzazione da un milione e conferimenti in immobili per 5 milioni. E un impegno ad assorbire tutti i dipendenti, anche precari, che con la fusione superano i 250. Il sindacato è d'accordo, i dipendenti sono più tranquilli. Ma mancano piano industriale e finanziario che, forse, avrebbero dovuto essere contestuali alla imponente riorganizzazione.
Intanto Sviluppo Italia Abruzzo si trascina nella crisi da anni e da dicembre scorso è in liquidazione. Nel 2012 compaiono in bilancio perdite per oltre 600mila euro, mentre i 18 dipendenti da luglio non percepiscono lo stipendio. La Regione valuta se vendere i tre incubatori di imprese di Mosciano, Avezzano Sant'Angelo e Sulmona, per pagare i propri debiti. Poi propone un piano: revocare la liquidazione e acquisire direttamente il pacchetto azionario (ora in carico ad Abruzzo Sviluppo). Ebbene, sono ben due le società in house per lo sviluppo.
In Calabria, di fronte alla possibilità di assorbire l'intero o metà organico, la regione di Giuseppe Scopelliti preferisce farsi carico dell'intera forza lavoro: 134 dipendenti inquadrati in una società controllata dalla finanziaria Fincalabra. Ben presto la struttura si rivela pesante per le esigue disponibilità regionali. La situazione precipita, la società viene messa in liquidazione. Da qualche mese i 131 dipendenti ancora in organico non percepiscono lo stipendio, intanto il liquidatore invia le lettere di licenziamento. La regione a maggio predispone un piano di riordino: 15 dipendenti da trasferire a Fincalabra e tutti gli altri da assegnare a due società di servizi. Con quale missione?
Sviluppo Sicilia mette in scena un copione simile. Poche commesse, poche entrate, pochi piani – denuncia la Fisac Cgil – per una struttura di 80 dipendenti, ma ora si pensa di far partire un nuovo incubatore. La Sardegna è l'unica regione che non ha accettato di recepire la società e dei 15 lavoratori 10 sono passati negli uffici di Invitalia a Roma. Sviluppo Molise con i suoi 27 dipendenti e un bilancio con 200mila euro di perdite non è tra quelle che soffrono di più.
La verità per tutte è che in mancanza di incentivi regionali per le imprese, di fatto, sono private del loro core business. E tutte le ricette messe in campo per rilanciarle non partono mai da piani industriali credibili.
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