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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2013 alle ore 07:39.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2013 alle ore 07:52.
Sono solo 32 i casi censiti di disturbo post-traumatico da stress (Dtds) riscontrati tra i militari italiani in missione all'estero e in particolare nelle aree più calde di Iraq e Afghanistan e 4 i casi di suicidio registrati tra i veterani di guerra. Per la prima volta il Ministero della Difesa rende noti dati ufficiali rispondendo a un'interrogazione del deputato leghista Marco Marcolin pur ammettendo che probabilmente si tratta di numeri sottostimati a causa di mancate segnalazioni e tendenza a nascondere la patologia.
L'Osservatorio Epidemiologico della Difesa ha segnalato 16 casi di Dtds tra il 2007 e il 2010 e altri 16 militari sono stati ricoverati per questo disturbo all'ospedale militare del Celio dopo il rientro dall'Afghanistan, 7 dei quali nel 2012.
Il tema dei traumi psicologici indotti dall'esperienza bellica è molto dibattuto in Gran Bretagna e Stati Uniti, dove c'è una più lunga tradizione di impiego bellico dei reparti militari, ma in Italia è sempre rimasto "sotto traccia" per diverse ragioni. I vertici politici e militari hanno sempre provato imbarazzo ad affrontare un argomento legato ai traumi subiti in combattimento che mal si adattano alla retorica delle missioni di pace e umanitarie che ha sempre rivestito gli impegni militari italiani oltremare.
I militari stessi poi segnalano raramente problemi del genere per non essere dichiarati "non idonei" all'impiego oltremare che vuol dire in molti casi uscire dai reparti operativi e rinunciare alle indennità di missione pari a 160 /180 euro al giorno per turni di sei mesi all'estero.
Nella risposta all'interrogazione il Ministro della Difesa, Mario Mauro, sottolinea come il tasso reale di incidenza di questo disturbo in Italia sia sensibilmente inferiore a quello delle forze armate di Paesi alleati. Ciò per merito di una "migliore selezione del personale" e per il "minor carico operativo per intensità e durata". I militari italiani prestano infatti servizio oltremare in turni semestrali mentre gli statunitensi hanno ridotto solo recentemente a 9 mesi i turni di rischieramenti precedentemente annuali e che negli anni più difficili della guerra in Iraq avevano raggiunto anche i 15 mesi. A queste valutazioni va poi aggiunto che prestare servizio nelle province orientali o meridionali afghane presidiate dagli anglo-americani significa esporsi a scontri più frequenti e più violenti di quelli sostenuti nell'Ovest dove sono schierate le truppe italiane, come testimonia anche il confronto tra i tassi di perdite subite dai contingenti schierati in quelle regioni. Ciò nonostante i nostri militari hanno sostenuto aspre battaglie soprattutto nei distretti orientali della provincia di Farah e in quella di Badghis dove molte postazioni avanzate sono rimaste a lungo sotto il fuoco costante dei talebani.
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