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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2013 alle ore 06:45.

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ROMA.
Si separano le strade dei due bonus fiscali per i lavori in casa: quello per le ristrutturazioni semplici si andrebbe sostanzialmente a esaurire, tornando nel 2014 dall'attuale livello del 50% al 36%, come già previsto peraltro dalla legislazione ordinaria; l'ecobonus sul risparmio energetico, invece, sarebbe mantenuto al 55% il prossimo anno, con una riduzione di dieci punti rispetto all'attuale agevolazione, ma pur sempre appetibile sia in termini assoluti sia, a maggior ragione, in termini di differenziale dal bonus ristrutturazione semplice.
Tuttavia, anche l'ecobonus per i lavori di efficientamento energetico sembra lontano dalla stabilizzazione chiesta all'unanimità da tutte le forze politiche alla Camera con la risoluzione Realacci-Capezzone: lo sgravio andrebbe infatti scendendo nei prossimi tre anni, con uno sgravio che scenderebbe al 45% nel 2015 e poi approderebbe al 36% nel 2016. A quel punto di due benefici fiscali sarebbero ridotti a uno. Una soluzione del genere era stata originariamente proposta, senza successo, dal senatore Cinque stelle, Gianni Girotto, a Palazzo Madama.
Fin qui le indiscrezioni che arrivano dal ministero dell'Economia sulle bozze della legge di stabilità. Il décalage graduale non piace, tuttavia, a chi ha sempre pensato che intorno all'ecobonus andrebbe costruita una politica per la riconversione dell'industria edilizia. «Se l'ipotesi è questa, vorrà dire che si sarà persa un'altra occasione», commenta le indiscrezioni di ieri sera Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera e grande sostenitore dell'ecobonus nella maggioranza. «Ancora una volta avrà prevalso una logica meramente contabile dei conti pubblici – dice Realacci – rispetto a una politica intelligente che avrebbe richiesto una stabilizzazione dell'ecobonus. Come si può pensare di fare in un anno tutti gli investimenti di consolidamento antisismico di cui ha bisogno il Paese? Sono interventi consistenti e prioritari».
Nelle bozze della legge di stabilità anche numerose proposte delle Infrastrutture su grandi e piccole opere pubbliche. Sulle cifre, tuttavia, non ci sono ancora certezze. La priorità per il ministero delle Infrastrutture è il recupero dei fondi sottratti con gli ultimi provvedimenti dall'Economia a Fs e Anas. Le Ferrovie sono la priorità numero 1. Il ripristino delle somme cancellate ammonterebbe a 720 milioni cui si aggiungerebbero 200 milioni per i nodi ferroviari, 100 milioni per la Cancello-Frasso Telesino e una cifra non ancora precisata (intorno ai 200 milioni) per far partire i lotti costruttivi della Brescia-Padova e della Napoli-Bari.
Per l'Anas, oltre alla restituzione di 85 milioni sottratti di recente, il piano prevede 333 milioni per tre anni sul contratto di programma, una seconda tranche da 300 milioni per il piano ponti e gallerie, 340 milioni per uno dei megalotti mancanti della Salerno-Reggio Calabria.
Cambiando genere, ci sarebbero 301 milioni di ripristino per completare il Mose, una seconda tranche da 100 milioni per il «piano dei seimila campanili» e un finanziamento pluriennale per 200-300 annui al piano di acquisto di autobus per il trasporto pubblico locale.
C'è poi la partita dei fondi europei e le flessibilità garantite dalle regole Ue sul finanziamento degli investimenti e sulla sottrazione delle spese cofinanziate dalla Ue dal patto di stabilità degli enti locali. Il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha fatto una battaglia per escludere dal deficit tutte le opere Ten che si realizzano in Italia. Per ora dalla Ue sono arrivati segnali di disponibilità soltanto per l'esclusione dal patto di stabilità dei cofinanziamenti nazionali alle opere finanziate con fondi strutturali Ue.
Ieri intanto la conferenza delle Regioni ha dato un primo via libera all'accordo con il ministro della Coesione territoriale, Carlo Trigilia, sulla nuova programmazione dei fondi Ue 2014-2020. Ci sono 28 miliardi di fondi Ue e altrettanti di cofinanziamento. Inoltre nella programmazione entra il Fondo sviluppo e coesione (Fsc), l'ex Fas, che dovrebbe finanziare in particolare le infrastrutture (escluse in questa tornata dai fondi Ue in senso stretto). Trigilia punta ad altri 50 miliardi.
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