Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2013 alle ore 06:49.

My24


ROMA
Il nodo delle risorse è un argomento centrale della nuova missione "Mare nostrum". E non si tratta di cifre da poco: basta vedere il dispositivo militare impiegato, che coinvolge Marina militare e Aeronautica, oltre all'impegno già in atto delle altre forze dello Stato. Senza contare che c'è da calcolare il fattore tempo: occorre partire il prima possibile e non è chiaro – ma in realtà non è neanche così facile da prevedere – quanto l'impegno dovrà durare.
Nell'ultimo precedente – l'emergenza Nord Africa, durata quasi un anno – lo Stato alla fine ha speso un miliardo e mezzo, anche se si trattava soprattutto di accoglienza. Certo è che ora, così come è stato reso noto ieri dai ministri della Difesa, Mario Mauro, e dell'Interno, Angelino Alfano, la missione umanitaria costerà molto più di un milione e mezzo di euro al mese: questa cifra oggi viene spesa per l'impiego della Marina militare nei compiti di vigilanza e pesca nel Mediterraneo – è il compito istituzionale – che poi si traducono negli interventi di sorveglianza e soccorso degli immigrati. Per "Mare nostrum" si stimano, invece, cifre per forza molto più alte: oscillano tra i 10 e i 14 milioni di euro al mese.
Sono numeri che non sono stati resi noti in conferenza stampa e colpisce il fatto che a Palazzo Chigi sia stato detto che le somme «saranno reperite nei bilanci dei ministeri». Sembra infatti quantomeno arduo che la Difesa – uno dei dicasteri che ha subìto i tagli più pesanti negli ultimi anni, soprattutto nel 2006 e nel 2008 – possa trovare senza problemi tra le pieghe dei suoi conti 14 milioni al mese disponibili. Alfano ha detto che «non faremo una legge» per stanziare nuove somme. Ma resta da capire se sia davvero possibile sostenere un onere così ingente – così come lo è, del resto, l'impegno militare annunciato – soltanto con i fondi ordinari di bilancio. Del resto al ministero di viale XX settembre è in corso un doppio intervento di tagli: quello disposto dalla spending review e l'altro, precedente, varato quando il ministro della Difesa era Giampaolo Di Paola, con la cosiddetta revisione dello strumento militare.
Rispetto a un modello di 190mila militari e 30mila civili dipendenti della Difesa, entro il 2015 si passa a 170mila e 27mila mentre, al termine della revisione, nel 2024, l'obiettivo finale è di 150mila militari e 20mila civili. I conti della Difesa, insomma, si sono già ridotti all'osso.
L'altro nodo strategico dell'emergenza immigrazione nel Mediterraneo riguarda il flusso e lo scambio delle informazioni. In mare ci sono Guardia costiera, Marina militare e Guardia di finanza, con compiti istituzionali diversi ma, alla fine, sono tutti destinati a soccorrere e salvare in caso di naufragio o di richiesta d'aiuto. Tra le tre istituzioni le informazioni circolano, ma solo in parte.
L'altra anomalia italiana è che ogni amministrazione di un certo livello si è fatta nel tempo una sala operativa o qualcosa di analogo. Così abbiamo "sale crisi" a palazzo Chigi, agli Esteri, le sale operative della Protezione civile, dell'Interno, del Comando generale Capitanerie, della Finanza e delle Dogane, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, dell'Aisi (il servizio segreto interno) e dell'Aise (quello estero). Le comunicazioni integrate o scambiate tra tutte queste strutture sono un concetto quasi assente, al massimo spontaneo, nella maggior parte dei casi. A marzo però è stata scritta l'ultima bozza di un decreto interministeriale che istituisce il Diis, dispositivo integrato interministeriale di sorveglianza marittima. Consentirebbe di raccogliere, valutare e scambiare tutte le informazioni giunte. La Marina militare, su delega della Difesa, l'ha già realizzato nella sua parte di competenza presso il comando della Squadra navale. Ma il dispositivo resta inutilizzato per l'assenza del personale di collegamento e delle connessioni con i sistemi e le centrali delle altre amministrazioni. Oggi è presente solo una piccola aliquota di personale delle Capitanerie di porto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I NODI
Necessari 10-14 mln al mese
La missione "Mare nostrum" costerà tra i 10 e i 14 milioni al mese. Sembra arduo che la Difesa possa trovare senza problemi tra le pieghe dei suoi conti tali risorse. Il vicepremier Alfano ha detto che «non faremo una legge» per stanziare nuove somme. Resta da capire se sia possibile sostenere tale onere con i fondi ordinari di bilancio.
Lo scambio di informazioni
L'altro nodo strategico dell'emergenza immigrazione nel Mediterraneo riguarda il flusso e lo scambio delle informazioni. In mare ci sono Guardia costiera, Marina militare e Guardia di finanza, con compiti istituzionali diversi ma, alla fine, sono tutti destinati a soccorrere e salvare in caso di naufragio o di richiesta d'aiuto. Tra le tre istituzioni le informazioni circolano solo in parte

Shopping24

Dai nostri archivi