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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2013 alle ore 18:51.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2013 alle ore 18:59.

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Non basta quanto previsto dalla recente legge Valore cultura, che ha previsto modalità nuove e più snelle per aiutare l'arte con donazioni fino a 10mila euro. Sicuramente è un passo avanti, ma il rapporto tra Fisco e cultura va ripensato. Basti pensare che il sistema delle erogazioni liberali che permette agli imprenditori di dedurre dal reddito aziendale i contributi in favore del patrimonio e dello spettacolo, in dieci anni di vita non solo non è riuscito a decollare, ma ha finito per regredire.

Nel 2012 le risorse complessive si sono fermate a 28,5 milioni, contro i 28,6 dell'anno prima e ben distanti dai 32 milioni raccolti nel 2010. Certo, a remare contro è anche la crisi economica. Ma le ristrettezze finanziarie non bastano a spiegare il perché i privati siano poco generosi con la cultura. La causa - come si spiega nel volume "L'intervento dei privati nella cultura", presentato oggi a Roma da Civita - va ricercata nell'attuale sistema di agevolazioni fiscali per chi aiuta il Bello.

Sistema che occorre rivisitare per rendere più diffusi e incivisi gli interventi dei mecenate, dal semplice cittadino al capitano d'impresa. Occorre, inoltre, una politica che sensibilizzi i privati nei confronti del mecenatismo, mettendo quest'ultimo allo stesso rango di interventi che al momento hanno maggiore appeal sociale, come, per esempio, i contributi a favore delle Onlus o della ricerca scientifica. Una spinta può anche arrivare da un maggiore riconoscimento a chi investe in cultura: soprattutto alle imprese va, infatti, accordato un maggior ritorno di immagine. Tutti vincoli che Stefano Fassina, viceministro dell'Economia, si è detto disposto a rimuovere. «Ci stiamo addentrando - ha sottolineato Fassina intervenendo all'iniziativa promossa da Civita - in un periodo storico in cui un'economia come la nostra può restare in alto solo se saprà valorizzare risorse come quelle culturali».

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