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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2013 alle ore 06:43.
L'ultima modifica è del 25 ottobre 2013 alle ore 09:23.

ROMA. Le sezioni unite della Cassazione, dopo sette ore di accesa discussione in camera di consiglio, hanno scelto la via del compromesso al ribasso sulla concussione, rimettendo così in discussione - indirettamente - la condanna di primo grado di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, decisa dal Tribunale di Milano. Bisognerà leggere le motivazioni (quando saranno depositate) per comprendere fino a che punto inciderà sulla sorte dell'ex premier la pronuncia delle sezioni unite, chiamate ieri a sciogliere il contrasto interpretativo nato dallo "spacchettamento" della concussione in due reati (la concussione per costrizione e l'induzione), voluto dalla legge Severino, n. 190 del 2012. Certo è, però, che la suprema Corte non ha accolto la linea dura sostenuta in udienza dal Procuratore generale Vito D'Ambrosio, secondo cui «ogni volta che il pubblico ufficiale determina una limitazione pesante della libertà del soggetto passivo, è configurabile il reato di concussione per costrizione, anche se il danno prospettato sia giusto perché previsto dalla legge».
Per le sezioni unite, invece, occorre una condotta «che limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del destinatario», si legge nella cosiddetta «informazione provvisoria» stesa dopo la camera di consiglio. Se invece la pressione «non è irresistibile» ma lascia al destinatario «un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un suo indebito vantaggio», si scivola nel reato meno grave di «induzione».
D'Ambrosio aveva fatto un esempio per spiegare quando c'è concussione per costrizione. «Se uno mi dice: "Lei non sa chi sono io", può essere una sbruffoneria del tutto irrilevante, ma se tra chi lo dice e chi lo ascolta c'è un'abissale differenza di potere, quella frase diventa una minaccia grave e come tale viene percepita dal destinatario». La «contestualizzazione è importante» aveva aggiunto, per stabilire se si è di fronte a una minaccia grave (anche se implicita) e, quindi, a una concussione. L'esempio sembrava calzare a pennello su Berlusconi e sulla sua telefonata alla Questura di Milano la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 per liberare Ruby, costatagli la condanna per concussione a 7 anni di carcere (compreso l'anno per il reato di prostituzione minorile) più l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. In effetti, non è né frequente né normale che un capo di governo chiami un funzionario della Questura, nel cuore della notte, per chiedere la liberazione di una ragazza fermata. Ma in base alla decisione delle sezioni unite, ci vuole di più: il Tribunale di Milano dovrà quindi dimostrare, in motivazione, che la volontà dei funzionari della Questura è stata «radicalmente coartata», al punto da togliere loro qualunque alternativa. Altrimenti in appello, il reato di concussione (pena da 6 a 12 anni e interdizione perpetua) sarà, nella migliore delle ipotesi, riqualificato in «induzione indebita» (pena da 3 a 8 anni, senza interdizione). Sempre che, per la sussistenza di questo reato, non sia necessario dimostrare anche che i funzionari della Questura hanno conseguito un «indebito vantaggio». In tal caso (e in mancanza di prova), la condotta dell'ex premier potrebbe persino finire nel "non penalmente rilevante".
Su questo specifico punto (se, cioè, l'indebito vantaggio sia un elemento costitutivo dell'induzione), l'«informazione provvisoria» delle sezioni unite non dice nulla. Forse perché nella discussione sono emerse posizioni molto diverse tra i nove giudici del collegio, presieduto dal primo presidente Giorgio Santacroce. Perciò la motivazione della sentenza (affidata a Nicola Milo) sarà determinante. Ma non arriverà prima della motivazione che ancora deve depositare il Tribunale di Milano.
Ovviamente, durante l'udienza nessuno (giudici, avvocati, Pg) ha mai parlato del processo Ruby. Le sezioni unite, prendendo spunto da un processo pugliese, dovevano uscire dalla confusione interpretativa nata con la legge Severino, che incide su tanti processi. E la requisitoria del Pg è stata anzitutto contro la legge: «Ha posto più problemi di quelli che voleva risolvere perché non ha costruito concetti nitidi e chiari»; «Non si capiscono le ragioni profonde per cui, per combattere la corruzione, che costa all'Italia 60 miliardi l'anno, si è scelto di sdoppiare la concussione»; «È incomprensibile perché nell'induzione si sia deciso di incriminare il soggetto passivo: questo rende difficile l'esito delle indagini poiché nessuno ha interesse a denunciare i fatti»; «Lo spacchettamento ha conseguenze di non poco conto, soprattutto sulla prescrizione»; «È falso che gli organismi internazionali ci hanno chiesto di eliminare la concussione», e così via. Poi, esaminate le diverse interpretazioni della Cassazione (si veda Il Sole 24 ore di ieri), il Pg ha scelto una linea intermedia, che però ampliava l'ambito di applicazione della concussione. Le sezioni unite, invece, lo hanno ristretto.