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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2013 alle ore 06:40.

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L'Italia è un grande paese manifatturiero. Ha un sistema industriale importante e un "brand" (il made in Italy) noto in tutto il mondo. Eppure non riesce ad uscire dalla sacca della crisi: migliora, ma non abbastanza. E anche il calo dello spread tra BTp e Bund, quasi dimezzato rispetto all'estate scorsa, si traduce solo in parte in tassi d'interesse più bassi per le imprese. Per contro la Spagna, grande malata del Sud Europa, riesce ad uscire dalla recessione. Come mai? Perché in Spagna c'è stata quella che gli economisti chiamano «svalutazione interna» (e che altri definiscono «macelleria sociale»): un drastico calo del costo del lavoro, che ha prodotto un disastro sociale ma ha reso competitive le imprese. Perché in Spagna è stato affrontato di petto (con aiuti europei) il problema delle banche. E perché da loro c'è più stabilità politica, che dà certezze agli investitori.
Per capire come mai l'Italia fatichi ad uscire dal pantano, nonostante il calo dello spread tra BTp e Bund che dovrebbe aiutare tutti, è insomma utile guardare il caso iberico. Dal 2009 ad oggi – secondo i dati Ocse – in Spagna il costo unitario del lavoro è calato dell'11%: questo significa che oggi le imprese producono a costi minori. Dunque sono più competitive. Questo ha causato un dramma sociale nel Paese: la disoccupazione è al 26% e, con i salari in contrazione, i redditi delle famiglie continuano a diminuire. Però, dato che ogni medaglia ha due facce, le imprese sono tornate competitive sui mercati internazionali: l'export spagnolo è infatti cresciuto del 6,6% nei primi 7 mesi dell'anno. Insomma: la Spagna ha tramortito il mercato interno, ma è tornata a respirare grazie all'export.
Questo non significa che la ricetta (con il dramma sociale che ne consegue) sia quella giusta. Non significa che il Paese si sia ripreso. Però, in ogni caso, questo ha dato agli investitori la sensazione che abbia toccato il fondo e che sia nella giusta direzione. Anche perché i problemi giganteschi del sistema bancario sono stati affrontati, con aiuti europei, in maniera concreta. E, rispetto all'Italia, la Spagna dà la sensazione di essere ben più stabile politicamente. Questo ha permesso al Paese di ridurre lo spread tra i titoli di Stato e i Bund tedeschi velocemente, e con esso è sceso anche il costo dei finanziamenti alle imprese: dall'agosto 2012 all'agosto 2013 (ultimi dati Bce) il tasso medio per nuovi crediti di durata tra uno e cinque anni è passato dal 6,61% al 5,53%. Un punto percentuale in meno.
L'Italia ha invece fatto molto meno. Il costo unitario del lavoro dal 2008 ad oggi non è sceso, come in Spagna, ma è salito del 3,5%: questo pesa sulla competitività delle nostre imprese. E pesa sulle esportazioni, che potrebbero essere un maggiore traino per il Paese. Inoltre il problema delle banche (zavorrate da 300 miliardi di crediti deteriorati) non è stato mai affrontato strutturalmente come in Spagna: così non si è sciolto più di tanto il nodo del credit crunch, nonostante la discesa dello spread tra BTp e Bund. Da agosto 2012 ad oggi il gap Italia-Germania è infatti calato da 456 a 238 punti base e il rendimento dei BTp decennali è sceso dal 5,85% al 4,14%. Eppure il costo dei nuovi finanziamenti alle imprese – secondo i dati Bce – è calato molto meno rispetto alla Spagna: dal 5,83% di agosto 2012 al 5,27% di agosto 2013.
Insomma: il "buon umore" dei mercati finanziari è diventato solo parzialmente un beneficio per tutti. E non poteva essere altrimenti: con una competitività scarsa, banche praticamente imbalsamate e mille handicap strutturali e fiscali, sarebbe stato un miracolo il contrario.
m.longo@ilsole24ore.com
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