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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2013 alle ore 06:42.

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Crollano le domande di indennizzo per i processi troppo lunghi. Sono infatti stati 5.680 i procedimenti avviati nei primi sei mesi di quest'anno, quasi due terzi in meno dei 15.246 del primo semestre del 2012: per l'esattezza, il 62,7% in meno. E la riduzione si riflette sui procedimenti pendenti, che calano dai 56.348 di fine 2012 ai 45.500 del primo semestre del 2013.
Sono questi i primi risultati della riforma operativa dall'11 settembre dell'anno scorso, pensata per scoraggiare i ricorsi infondati e snellire la procedura così da sgravare le Corti d'appello, competenti a decidere sulle richieste di risarcimento.
A scattare la fotografia della situazione è il nuovo «Data warehouse della giustizia civile», il sistema informativo del ministero della Giustizia con funzionalità statistiche, fortemente voluto dal direttore generale delle statistiche, Fabio Bartolomeo. Il sistema raccoglie in modo automatizzato (sostituendo la rilevazione indiretta e spesso manuale) i dati dei registri delle cancellerie civili di tribunali e Corti d'appello e mette a disposizione dati aggiornati e recenti.
Nel dettaglio, la riforma dell'anno scorso (il Dl 83/2012) ha modificato la legge Pinto (la 89/2001), che ha dato la possibilità di fare ricorso per ottenere un'«equa riparazione» a chi subisce un danno «patrimoniale o non patrimoniale» per i processi che sforano il «termine ragionevole» di durata stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu). Nei fatti, le lentezze processuali sono uno dei punti di maggiore debolezza della macchina giudiziaria italiana. E il canale offerto dalla Pinto è stato preso d'assalto negli anni scorsi dai cittadini e dalle imprese – fino al picco di 18.033 ricorsi presentati nel primo semestre del 2009 – mandando in sofferenza le Corti d'appello.
Per ridurre la corsa agli indennizzi, il Dl 83 ha, da un lato, cercato di disincentivare i ricorsi infondati: ora, il giudice, se dichiara la domanda «inammissibile» o «manifestamente infondata», può condannare il ricorrente a una "multa" di almeno 1.000 euro e fino a 10mila euro. Inoltre, la riforma ha messo nero su bianco che non spetta alcun indennizzo alla parte che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o che, comunque, ha fatto allungare i tempi abusando dei poteri processuali. E se è vero che comportamenti di questo genere sono difficili da provare, il giudice ha anche il potere di tenere conto molto più di prima del comportamento poco diligente o dilatorio delle parti per ridurre l'indennizzo, che può essere fissato tra 500 e 1.500 euro per ogni anno di ritardo.
Dall'altro lato, hanno bloccato le richieste di indennizzo i nuovi termini per proporle. Dall'anno scorso, infatti, non è più possibile fare domanda mentre il processo è in corso, ma occorre attendere che la decisione che lo conclude divenga definitiva per poi proporre ricorso entro sei mesi, a pena di decadenza.
A scoraggiare le richieste, infine, c'è anche il nuovo onere di produrre tutti gli atti rilevanti del giudizio troppo lungo in copia autentica (pagando le spese), mentre prima bastava depositare il ricorso e poi doveva pensarci la cancelleria della Corte d'appello.
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