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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2013 alle ore 16:38.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2013 alle ore 17:09.

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Aveva messo in conto che poteva accadere, è un economista cinese, uno dei trecento firmatari della Carta 08, manifesto che chiede più riforme e democrazia in Cina, ma c'è modo e modo d'essere purgato. Il professore di economia Xia Yeliang ha sperimentato il peggiore per l'onore: cacciato dalla Peking University di Pechino dopo trent'anni d'insegnamento per «mediocrità»; contro di lui ci sarebbero 340 reclami di studenti raccolti negli ultimi sette anni che lo considerano il più scadente dell'ateneo. La realtà è più banale e allo stesso tempo straordinaria in Cina: l'economista è rimasto senza cattedra perché «troppo liberale» ma invece di essere messo alla porta senza spiegazioni, Xia Yeliang è stato licenziato per una serie di valutazioni raccolte dal 2006 a fine ottobre che lo hanno fatto precipitare nella classifica di merito.

Fra le lamentale che ne hanno decretato l'inadeguatezza vi sono le aule strapiene con studenti costretti a sedersi sulle gradinate, così il professore è scoppiato: «Le aule, anche le più grandi, contengono al massimo 400 posti, se questo è il criterio - si è lamentato con Le Figaro - se è così dovrebbero essere mandati via tutti i professori miei colleghi, anzi non ne resterebbe neanche uno nelle duemila università cinesi. Se questa regola non è stata inventata apposta per me, molti altri docenti qui da trent'anni dovrebbero essere sanzionati». Cosa che naturalmente non è avvenuta.

Il professor Xia riconduce la sua cacciata a una lettera aperta del 2009 indirizzata a Liu Yunshan, allora direttore del dipartimento della propaganda del Partito Comunista Cinese (PCC). Lettera in cui con l'ingenua foga che a volte caratterizza i professori, accusa Liu di una censura che ricorda solo «la Gestapo di Hitler» e gli chiede «con quale diritto crede di poter controllare il pensiero della gente». I tempi della vendetta sono com'è noto freddi e nel frattempo il funzionario Liu, nel novembre 2012, è promosso al comitato permanente del Politburo del PCC, posizione ideale per escogitare nuove regole.

Xia era stato messo in guardia più volte, si è fatto un po' di prigione, arresti domiciliari, la tipica trafila dell'intellettuale dissidente in Cina, ma ha continuato a scrivere sul web il suo pensiero, a chiedere più libertà di parola e la nascita di uno Stato di diritto. «Quando ero alle elementari sono stato una piccola guardia rossa perché non avevo scelta - ricorda - ma ho sempre aspirato alla libertà, ho scoperto il mondo libero nel 1985 con i primi viaggi in Germania dell'Ovest e in Danimarca. M'avevano insegnato che nel mondo imperialista regnavano la competizione a morte e l'egoismo, l'ho trovato accogliente». Crescendo il professore ha capito che «gli americani non sono più intelligenti dei cinesi, hanno solo migliori istituzioni», ma non ha mai accettato il consiglio del preside di Economia, rimanere fedele alla linea del Partito: «non volevo passare le mie sere a bere e giocare a ping pong con lui e le giornate a insegnare verità di regime ai miei studenti». Fuori dall'Università, Xia non è più protetto e lo sa: ha chiesto a sua moglie di chiedere il divorzio, vendere tutti i suoi beni e trasferirsi all'estero nel caso finisse in prigione.

Il 9 novembre prossimo Xi Jinping, presidente della Cina e guida del PCC, apre il terzo Plenum del 18esimo comitato centrale del Partito, segretissimo come al solito. Come al solito ci vorranno mesi, forse anni per capire cosa i funzionari di Partito si son detti e han deciso. Xi ha anticipato ai leader stranieri che sarà la più importante riunione dal 1978 per la Cina, lasciando intendere che si è alla vigilia di cambiamenti epocali. L'Economist individua almeno due campi in cui le riforme dovrebbero segnare l'inizio di una nuova epoca: le imprese statali e il sistema finanziario che le sorregge, e le campagne dove i contadini non hanno ancora diritti sulle loro terre. Nulla si sa dei diritti civili.

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