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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2013 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 01 novembre 2013 alle ore 08:37.

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È vero che al mondo non ci si può più fidare di nessuno, neanche dei propri alleati o partner commerciali, ma la Repubblica popolare non ci sta e minaccia di bloccare le trattative sull'accordo di libero scambio in via di definizione con l'Australia. A scatenare la rabbia di Pechino la decisione, da parte del neo-eletto governo conservatore di Canberra, di confermare una decisione presa dal precedente esecutivo laburista: ovvero tagliare fuori l'azienda cinese Huawei dai piani di espansione (per un valore di 38 miliardi di dollari) della rete nazionale a banda larga del Paese-continente.

Questioni di sicurezza
Le motivazioni addotte, presunte questioni di "sicurezza nazionale", erano una scusa, neanche tanto sottile, che celavano i timori di Canberra secondo cui, Huawei, vicina al Governo cinese, avrebbe potuto approfittare della situazione per spiare i vicini del Pacifico. Una preoccupazione che suona un po' ironica in questi giorni in cui un quotidiano australiano ha rivelato come la rete delle ambasciate australiane in Asia fosse coinvolta, all'insaputa di molti diplomatici, nell'intercettazione di dati per conto della CIA.

A essere portavoce delle preoccupazioni di sicurezza nazionale, si diceva, era il governo precedente, presieduto da Julia Gillard, sonoramente battuto dalla coalizione conservatrice guidata dal nuovo premier Tony Abbott. Il cambio di guida nel Paese aveva fatto ben sperare i cinesi che avevano ottenuto rassicurazioni da parte del ministro delle Comunicazioni Malcolm Turnbull e del ministro del Commercio e degli Investimenti Andrew Robb, che le cose sarebbero cambiate. In particolare, Robb, durante una visita in Cina, aveva sostenuto che Huawei avrebbe avuto "un grande futuro in Australia". Un doccia gelata sulle speraze di Pechino si è invece abbattuta in questi giorni quando il ministro del Tesoro Joe Hockey in un'intervista televisiva ha confermato il "no" a un coinvolgimento del gruppo cinese all'espansione tecnologica australiana.

La reazione cinese
Diplomatici e businessmen cinesi hanno espresso il loro "shock" e la loro "costernazione" a questa decisione e sono in molti a credere che questa mossa avrà conseguenze sulle trattative in vista di un FTA tra i due Paesi.

"Un impatto è inevitabile" ha commentato un diplomatico cinese che ha parlato in condizioni di anonimità. "Perché dovremmo permettere alle società australiane un miglior accesso al mercato cinese se impediscono a uno dei gruppi cinesi più rispettati al mondo di fare affari in Australia?". Il diplomatico suggerisce che il Paese australe dia più importanza all'alleanza politica con gli Stati Uniti (che, ultimamente non hanno mostrato molta considerazione per la privacy dei Paesi amici) che a migliorare i rapporti commerciali con la Cina. La decisione ha avuto ampie ripercussioni tra l'opinione pubblica della Repubblica popolare e in molti hanno chiesto alle autorità di bandire l'import di prodotti agricoli australiani.

Rapporti commerciali
È troppo presto per dire se ci saranno serie conseguenze nei rapporti commerciali tra i due Paesi. L'Australia è il primo partner commerciale della Cina: gli interscambi sono ammontati a 121,1 miliardi di dollari australiani (pari a 84,4 miliardi di euro) nel 2011-2012. In particolare, l'Australia rifornisce Pechino delle materie prime necessarie per alimentare la crescita dell'economia cinese. La massiccia domanda di minerali ferrosi da parte delle Repubblica popolare ha impedito a Canberra di seguire altre economie occidentali sulla via della recessione. Molte aziende cinesi hanno investito negli ultimi anni nel business delle risorse australiano. I due Paesi hanno iniziato i colloqui per un free trade agreement nel 2005, ma sono stati battuti dai vicini neozelandesi che hanno strappato l'accordo, e sono stati il primo Paese occidentale a farlo, nel 2008.

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