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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2013 alle ore 08:16.

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Gianni
Dragoni Alitalia ha bisogno di circa 500 milioni di euro per attraversare senza il rischio di un brusco atterraggio la stagione invernale, fino alla fine di marzo. In cassa sono entrati solo 130 milioni della ricapitalizzazione anticipati il 18 ottobre da tre soci e da due banche.
Tutte le dispute su nuovi partner industriali, come quelle in cui si esercitano il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, qualche sindacalista e alcuni degli azionisti che hanno partecipato alla rovinosa gestione della Cai, ignorano una variabile decisiva della partita: il tempo. Perché, se dovesse andare in malora il rapporto con Air France e il piano di salvataggio con l'intervento (discutibile) delle Poste, Alitalia avrebbe bisogno di parecchio tempo per convincere qualche altra compagnia a mettere soldi in un'azienda con 2 miliardi di debiti effettivi. Una volta trovato il generoso cavaliere bianco, servirebbe il tempo per smontare l'intreccio di accordi commerciali e industriali che legano Alitalia a Air France, un lavoro forse di anni, più le penali del divorzio. Intanto, con il gruzzoletto di 130 milioni Alitalia non arriverebbe alla fine dell'anno. Altri 110 milioni dovrebbero entrare in cassa entro la fine di questo mese, compresa l'iniezione di 75 milioni delle Poste decisa da Enrico Letta (mal digerita dal ministro dell'Economia Saccomanni), lasciando da parte l'incognita di Air France (la sua quota è di 75 milioni). Così Alitalia arriverebbe forse alla fine di gennaio. Gli ulteriori 200 milioni di prestiti previsti nella «manovra finanziaria» sono subordinati dalle banche a un nuovo piano industriale e ad «adeguate garanzie».
Serve un piano credibile, questo significherebbe tagli all'occupazione a alla flotta. Di questo però nessuno parla volentieri, si preferisce favoleggiare di ipotetici nuovi partner extaeuropei. L'a.d. di Alitalia, Gabriele Del Torchio, un piano lo ha fatto e lo ha corretto, ma sarebbe considerato insufficiente (anche da Air France). Il 10 ottobre, nell'annunciare il salvataggio con Poste, Letta ha chiesto «discontinuità» e «una profonda revisione del piano industriale e l'adozione nei tempi più rapidi del nuovo piano da parte dei nuovi organi societari». Eppure i vertici di Alitalia sono sempre gli stessi. Un altro paradosso di questa partita senza fine.
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