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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2013 alle ore 11:44.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2013 alle ore 13:04.

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Il recente piano di assegnazione dei punti organico per il rimpiazzo (parziale) dei pensionamenti da parte del Miur ha posto nel dibattito due questioni estremamente importanti: quello dell'utilizzo degli indicatori e quello delle soglie di salvaguardia.
Nel ripartire i margini possibili di assunzione (si ricordi che non si tratta di assegnazione di risorse aggiuntive, ma di "permessi ad assumere") il ministero si è limitato ad applicare la normativa esistente, fondata su un ragionevole principio di sostenibilità economica: si vuole ricondurre la spesa del personale a non eccedere i 4/5 delle entrate disponibili degli atenei, costituite per la maggioranza di essi da contributo statale (Ffo) e gettito della contribuzione studentesca (le tasse universitarie pagate dagli studenti regolari).

Tuttavia quello che a livello di sistema appare come un criterio sensato può produrre a livello locale situazioni che possono suscitare perplessità. Infatti la scelta di affidare il sistema di premi e punizioni a indicatori automatici presenta pregi e difetti di cui bisogna essere coscienti prima di dovere poi intervenire a posteriori per correggerne gli esiti. Premesso che gli indicatori dovrebbero essere annunciati in anticipo e mantenuti stabili nel tempo, bisognerebbe poi domandarsi quali possibilità di correzione esistano da parte degli atenei per adeguarsi all'obiettivo.

A ordinamento vigente gli atenei non possono modificare in riduzione la spesa per il personale (il numeratore), così come non possono modificare il contributo statale (se non marginalmente per la parte premiale dello stesso). Resterebbe quindi come unica leva l'innalzamento delle tasse universitarie, che sappiamo essere molto differenziate tra aree del Paese. A dati esistenti la scelta di utilizzo di questo indicatore ha come conseguenza diretta (volenti o nolenti) il ridimensionamento graduale delle università che hanno bassi livelli delle tasse studentesche (quasi esclusivamente atenei del Sud), indipendentemente dai risultati ottenuti da ciascuno di essi nella valutazione della ricerca. Un secondo aspetto importante riguarda poi l'applicazione concreta di un indicatore, qualunque esso sia, ovverosia la scelta del "fattore di conversione" sottostante: se si vogliono enfatizzare le differenze tra atenei si utilizza un fattore di conversione elevato, in caso contrario si preferisce un fattore basso accompagnato da clausole di salvaguardia. Stupisce il fatto che mentre nel riparto della quota premiale del contributo Ffo relativo al 2013 si stia seguendo la seconda strada (dove quindi il punteggio medio ottenuto dagli atenei viene "diluito" nella combinazione con diversi altri indicatori di attrattività di studenti e fondi, associandovi clausole di salvaguarda che impediscono variazioni migliorative o peggiorative oltre soglie predefinite), nella distribuzione delle autorizzazioni ad assumere si sia preferito la prima strategia, generando l'impressione che il dettaglio tecnico faccia premio sulla capacità di indirizzo politico, che invece dovrebbe rimanere prerogativa dell'Esecutivo e del Parlamento.

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