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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 12:29.

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Come da copione, arriva la difesa del presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, ai suoi consiglieri. Suoi, del suo partito, in particolare, ma non solo loro.
Dopo giorni di silenzio l'occasione di entrare nel merito dell'inchiesta sulle 'cene pazze' degli eletti in viale Aldo Moro, viene offerta ad Errani da una seduta dell'Assemblea. Appena fuori dall'aula, il Governatore, si veste della toga del difensore d'ufficio e inizia la sua arringa: Non si puo«mettere l'istituzione Regione in un frullatore», attacca senza precisare chi abbia ficcato questa istituzione nel Minipimer. «L'Emilia-Romagna è quella che è, coi suoi dati di qualità nei servizi; sono le scelte che ha fatto nel governo e su lavoro, industria, salute, non autosufficienza, del terremoto. Questa è l'Emilia-Romagna».

Passate in rassegna le eccellenze, Errani va avanti ribadendo ancora una volta la sua fiducia nel lavoro dei magistrati: «Nell'indagine io sono convinto che emergerà la regolarità, se così non fosse ciascuno si assumerà le proprie responsabilità come sempre, come è giusto».

Prevedibilmente, il presidente della Giunta, manifesta stima e apprezzamento per il lavoro svolto dall'ex capogruppo del suo partito (il Pd), Marco Monari che domenica ha rassegnato le proprie dimissioni da leader dei democratici dell'assemblea.

Lo ha fatto, giusto per rischiarare la memoria che in Emilia Romagna rischia di essere avvolta da una nebbia obnubilante, dopo essere finito sotto accusa per peculato, assieme ai suoi colleghi capigruppo degli altri partiti. Lo ha fatto dopo che il fax di via Rivani (sede del Pd Bolognese) è stato ingolfato di messaggi indignati, dopo che al centralino arrivavano telefonate di iscritti ed elettori che volevano la testa di Monari su un piatto (di plastica, non d'argento, giusto per risparmiare da qualche parte). Lo ha fatto dopo essere risultato il più spendaccione dei democratici alla voce pranzi e cene (30mila euro in 19 mesi: da giugno 2010 a dicembre 2011).

Certo c'è chi ha fatto di peggio: l'ex capogruppo del Pdl (già fuori dall'amministrazione per un'inchiesta della Procura di Parma, costatagli anche i domiciliari) Luigi Giuseppe Villani. Ma non è che, in questi casi sia consigliabile puntare il dito su chi ha mangiato di più e chi di meno.

E' anche vero, come qualche consigliere del Pd oggi si premura di ricordare dalle pagine locali del quotidiano La Repubblica, che quelle spese folli per la ristorazione risalivano al periodo pre spending review, periodo di vacche ancora pingui. È altrettanto vero che in quel periodo gli elettori di ogni partito perdevano già il lavoro, le fabbriche chiudevano, le rate dei mutui saltavano e gli sfratti sbattevano già in strada gli inquilini morosi.

«Le notizie lette in questi giorni generano critiche, disagio, profondo malumore — scrivono i consiglieri — e alimentano un'idea di politica distante dalla gente». Sarà poi un problema loro, quello di riconquistarseli gli elettori, non dei giornalisti che raccontano di cene da 200 euro a coperto o di trasferte in hotel a 4 stelle.

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