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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 06:41.

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NAPOLI
Il piano studiato dall'allora commissariato di governo per l'emergenza rifiuti, e affidato all'Ati (associazione temporanea di impresa) formata dal gruppo Impregilo e dalle controllate Fibe, Fibe Campania e Fisia Italimpianti, ruotava attorno all'idea che la spazzatura, opportunamente classificata e trattata, potesse essere per la maggior parte smaltita come carburante per l'inceneritore di Acerra (ecoballe) e come "cicatrizzante" per le cave dismesse (Fos, frazione organica secca). Condizione necessaria e sufficiente per il funzionamento del ciclo integrato dei rifiuti è che entrambi i prodotti fossero di qualità. Ovvero: che le ecoballe avessero il giusto contenuto calorifico e che il Fos fosse stato igienizzato secondo le normative vigenti.
L'inchiesta della Procura napoletana sul disastro ambientale nasce proprio dai controlli effettuati nei sette impianti CdR della Campania: le ecoballe che questi siti "partoriscono" – e lo stesso discorso vale anche per il Fos – per i pm sono in realtà "manipolate", perché trattate chimicamente. Non possono dunque finire nel termovalorizzatore. Così iniziano ad accumularsi in appositi siti di stoccaggio che, a mano a mano, il commissario di governo (e cioè Antonio Bassolino) apre con apposite ordinanze senza però informarsi (è la tesi dell'accusa) su ciò che si sta verificando e perché.
Oggi si contano otto milioni di ecoballe ancora parcheggiate in queste aree in attesa che si riesca a trovare una soluzione per il loro smaltimento. A rendere ancor più grave la situazione, in Campania, a quel tempo era però pure il ritardo con cui procedevano i lavori per la costruzione dell'inceneritore di Acerra. Perché era vero che le ecoballe erano di scarsa qualità, ma era ancor più vero che, senza l'inceneritore, l'intero piano di smaltimento regionale avrebbe fallito completamente il proprio obiettivo. Dal mix micidiale di queste due situazioni, la Procura parte per ricostruire la genesi del disastro dei sacchetti che hanno inondato Napoli e la sua provincia tra il 2000 e il 2005. La colpa di Bassolino, per i pubblici ministeri Sirleo e Noviello, sarebbe stata quella di non esercitare il proprio potere di controllo, sull'adempienza del contratto con l'Ati, per chiedere il rispetto dei patti. Per i giudici che hanno mandato assolti tutti gli imputati, invece, nessuna violazione si è registrata. È vero, l'emergenza rifiuti si è verificata ma per ragioni diverse da quelle ipotizzate dalla Procura. E ancor oggi rimaste un mistero.
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L'EMERGENZA
Disastro ambientale
L'inchiesta della Procura di Napoli sul disastro ambientale nasce dai controlli nei sette impianti Cdr (combustibile da rifiuti) della Campania. Le ecoballe prodotte da questi siti, secondo i magistrati sono "manipolate", perchè trattate chimicamente.
Milioni di ecoballe
Oggi si contano otto milioni di ecoballe parcheggiate in attesa che si riesca a trovare una soluzione per lo smaltimento.
Resta il mistero
Per i giudici che hanno deciso l'assoluzione per tutti gli imputati nessuna violazione c'è stata. Ossia, l'emergenza rifiuti si è verificata ma per ragioni diverse da quelle ipotizzate dalla Procura. E proprio queste ragioni che provocarono il disastro ancora oggi restano un mistero

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