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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 06:48.

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L'auto italiana non riesce dunque ad agganciarsi al treno della ripresa, con un calo delle immatricolazioni del 5% a ottobre (si veda l'articolo qui a fianco) a fronte dei rialzi in altri grandi Paesi europei – Germania, Francia e Spagna. Il panorama, è vero, resta a macchia di leopardo: in Germania il timido rialzo (+2,3%) segue i cali di agosto e settembre, mentre l'impennata spagnola (+34%) deriva dal varo di incentivi al rinnovo del parco circolante; una strada, quest'ultima, che non è sul tavolo della Consulta automotive avviata il mese scorso al ministero per lo Sviluppo Economico.
Se si considera anche la buona salute del mercato britannico, che la svolta congiunturale è ormai un po' più che una speranza. «È chiaro che abbiano raggiunto il fondo» ha detto Bernard Cambier, responsabile vendite di Renault in Francia. Attenzione però: nessuno si spinge a prevedere una ripresa del mercato in tempi brevi. La vendite nei 30 Paesi Ue più Efta, scese nel 2012 a 12,5 milioni dai 16 del 2007, dovrebbero calare a circa 12 milioni quest'anno per poi puntare lievemente verso l'altro nel 2014; ma i 16 milioni non verranno raggiunti prima di parecchi anni, e c'è chi ritiene che il picco non verrà mai più raggiunto.
La situazione dell'Italia è ancora peggiore, con un quasi dimezzamento delle vendite tra i 2,5 milioni del 2007 e gli 1,3 scarsi previsti per quest'anno. Una crisi che trascina con sé il gruppo Fiat in generale (il Lingotto ha anche perso quote di mercato sul 2012, sia a ottobre che nei dieci mesi) e la produzione di quest'ultimo in Italia, tornata a livelli da fine anni 50. Il crollo di quest'ultima rischia a sua volta di mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di un altro segmenti chiave della filiera: i produttori di componenti, che nel loro complesso hanno saputo diversificare e garantiscono ancora un saldo attivo della bilancia commerciale, ma non possono resistere a lungo senza una produzione nazionale di automobili.
Come impedire il progressivo sgretolamento di un comparto che dà lavoro a quasi 200mila persone? Alla Consulta automotive partecipano gli attori della filiera (Fiat compresa) e il Governo. Le associazioni come Unrae (importatori), Anfia (aziende industriali italiane, esclusa Fiat) e Federauto (concessionari) chiedono «di intervenire sui costi di gestione e sui carichi fiscali che gravano sull'automobile», con misure come «la progressiva armonizzazione della fiscalità italiana a quella europea per le auto aziendali» e «un contenimento dei costi di possesso e di utilizzo dei veicoli». Per quanto riguarda la filiera produttiva, Fiat aveva chiesto un anno fa all'allora ministro Passera misure per sostenere l'export di vetture dal nostro Paese. La settimana scorsa Sergio Marchionne ha promesso per fine aprile un nuovo piano strategico; al suo interno dovrebbero esserci anche le linee di sviluppo dell'Alfa Romeo, su cui si basa buona parte delle speranze per rilanciare la produzione di Cassino e Mirafiori. Ma la scelta dell'Italia non è scontata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Andrea Malan

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