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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 06:41.

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Dopo troppe occasioni perdute, sfruttiamo la forza di cambiare



I dati sulla disoccupazione appaiono sempre più allarmanti. Sono sempre più numerose le notizie di aziende che chiudono, che riducono il personale, che avviano processi di mobilità. Da appassionato di moto mi ha colpito il fatto che in provincia di Varese c'era un'azienda che produceva motociclette apprezzate in tutto il mondo e con una lunga serie di vittorie nei campionati mondiali cross ed enduro: si chiamava Husqvarna, un nome svedese, perché svedese era l'origine dell'azienda, ma venne ceduta nel 1987 dal gruppo Electrolux alla varesina Cagiva che ne rilanciò la produzione con uno stabilimento che negli ultimi anni è arrivato ad occupare fino a 300 operai. Dalla Cagiva l'azienda è stata poi ceduta alla Bmw nel 2007 e da questa pochi mesi fa a un'azienda austriaca attiva nelle stesso settore e che ha pensato bene di trasferire in Austria tutta la produzione. Ora ci sono 240 operai in cassa integrazione di un'impresa che non c'è più. E non sono pochi altri casi di multinazionali francesi, finlandesi o tedesche che stanno riducendo i loro occupati in Italia. Possibile che non sia possibile fare nulla contro questa emorragia di posti di lavoro?
Antonio Macchi
Milano
Gentile Macchi, la sua lunga lettera (dalla quale, e mi scuso, ho dovuto togliere la sua lunga, appassionata e più che motivata difesa delle case motociclistiche italiane) pone molti problemi di soluzione tutt'altro che facile. Quello generale, e drammatico, della disoccupazione collegato a quello della ristrutturazione dei grandi gruppi multinazionali che stanno adeguando le loro strategie dopo anni di forte crisi economica e di straordinaria evoluzione tecnologica. Ogni azienda è una storia particolare, ma è innegabile che l'Italia in questo periodo si mostra meno attraente del passato per gli investimenti dall'estero. Ma è anche utile non generalizzare. A Cassinetta di Biandronno, a pochi metri dalle sede dell'Husqvarna, da lei citata, c'è lo stabilimento di quella che una volta era la Ignis e che ora è la sede della Whirlpool, una grande multinazionale americana che ha deciso proprio nei giorni scorsi (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre) di investire 250 milioni in quattro anni per l'innovazione dei processi produttivi. Questa scelta è stata il frutto di un accordo tra l'azienda e la Regione Lombardia che ha promesso semplificazioni burocratiche e incentivi reali alla ricerca. L'Italia è quindi un Paese difficile, ma che ha ancora grandi risorse per poter riprendere un cammino di crescita. Si può averne la conferma in un libro: Sì, l'Italia ce la può fare (Ed. Metamorfosi, 220 pagine, 16 euro) di Francesco Costantini, negli anni 90 presidente di Farmindustria. Sono le confessioni di un "ottimista scettico" perché nel racconto in prima persona di ottant'anni di storia italiana ed europea c'è la realistica immagine di un Paese che ha perso grandi occasioni, culturali oltre che economiche, ma che può conservare la forza di cambiare. Se inizierà a riconoscere gli errori, le rigidità, i pregiudizi, i veti ideologici del passato. Guardandosi allo specchio e non accusando sempre … gli altri.
g.fabi@ilsole24ore.com
I primi cinque anni di Obama
Il 4 novembre 2008 Barack Obama veniva eletto presidente degli Usa. Per alcuni aspetti si possono accomunare la sua presidenza con quella di Franklin Roosevelt, il presidente che negli anni 30 affrontò la grave recessione seguita alla crisi del 1929. All' atto del suo insediamento nel 1933, i disoccupati erano un quarto della forza lavoro: oggi il tasso di disoccupazione è solo del 7%, aumentato di di ben due punti percentuali in soli otto mesi. Sia Obama che Roosevelt sono succeduti a presidenti screditati: da una parte il repubblicano Herbert Hoover, che non aveva valutato la gravità della recessione, si preoccupò solo del pareggio di bilancio, convinto che fosse compito dei singoli stati risolvere i problemi della disoccupazione e del fallimento delle banche, dall'altra la presidenza Bush, che ha garantito otto anni di sviluppo solo per pochi, una guerra per troppi e una crisi finanziaria devastante. Così nei confronti di Obama vi sono state fin dall'elezione forti aspettative, ma il bilancio di questi cinque anni non è esaltante. Da lui il popolo americano si attendeva un piano per affrontare la crisi, magari con una riedizione del New Deal rooseveltiano: attesa non ripagata dai fatti.
M.L.
Monfalcone (GO)

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