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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2013 alle ore 09:49.

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È illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per aver rotto il rapporto di fiducia non avendo ottemperato a direttive impartite dal Comune e agli indirizzi formulati dall'assemblea, perché queste carenze non determinano necessariamente inadempienze gestionali nella direzione dell'azienda. Per integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che violano il rapporto di fiducia sono di per sé irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 23381/2013, ha ritenuto sancito la non revocabilità per giusta causa dei membri del cda di una società controllata da un Comune che hanno posto in essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l'assemblea dei soci. Nel caso, un Comune, socio di maggioranza di una spa di igiene ambientale, aveva chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in quanto avevano disatteso, tra l'altro, gli indirizzi approvati dall'assemblea e le direttive del consiglio comunale.
L'assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni per l'assenza di giusta causa (articolo 2383, comma 3, del Codice civile).
La società ha evidenziato che gli amministratori avevano adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall'ente socio di maggioranza, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l'organo gestionale.
Gli amministratori avevano, tra l'altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della società, non avevano ottemperato a direttive impartite dal Comune socio di maggioranza, avevano proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall'ente socio, e non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale espressamente indicate nell'atto di affidamento del servizio.
La Cassazione ha chiarito che gli amministratori di una partecipata non sono tenuti a derogare alla disciplina dell'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei rapporti con la società se tali condizioni non sono state previste nello statuto della società. L'inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive dell'assemblea non producono automaticamente inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci.
I giudici hanno anche spiegato che l'accertamento della giusta causa di revoca non può riguardare l'eventuale logoramento del rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti degli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. Questa valutazione è estranea alla normativa societaria che non riconosce agli amministratori l'obbligo di agire nell'interesse dei singoli soci, ma della società.
Secondo la disciplina civilistica, la revoca può avvenire solo quando i fatti contestati siano oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore.
La Cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore dell'amministratore revocato.
In questo caso, addirittura, il comportamento dell'ente locale potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti: per la mancata tutela dell'interesse pubblico nell'agire con gli strumenti del diritto societario, e per il danno arrecato alla società derivante dall'obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato.
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