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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2013 alle ore 15:43.

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Il fardello ereditato dall'Inpdap è probabilmente il nodo principale e forse quello più urgente da affrontare, ma nell'agenda del sistema pensionistico italiano non è l'unico elemento critico. A livello generale ci si sta iniziando a interrogare sulla tenuta del sistema e sull'adeguatezza delle pensioni future, tenuto conto che la rivalutazione dei contributi è legata all'andamento del Pil nazionale e se questo continuerà a non crescere o addirittura a diminuire gli effetti si faranno sentire anche sull'importo delle pensioni. Il passaggio al sistema contributivo, inoltre, se consente di avere conti più sostenibili rispetto al retributivo, in un mercato del lavoro e in una congiuntura sempre più difficili, caratterizzati dall'alternarsi di periodi di impiego ad altri senza, rischia di determinare assegni mensili inadeguati per chi andrà in pensione tra 20-30 anni, come ha recentemente sottolineato il ministro del Lavoro Enrico Giovannini.

Nell'immediato, poi, ci sono altri dossier aperti, alcuni dei quali potrebbero trovare una soluzione transitoria con la legge di stabilità. Il primo è quello dell'indicizzazione delle pensioni erogate. Dopo il blocco biennale introdotto dal governo Monti a fine 2011 per gli assegni superiori a tre volte il minimo, nel disegno di legge di stabilità messo a punto dall'esecutivo attuale è stata prevista una ripresa dell'indicizzazione anche se per scaglioni, con la permanenza del blocco per gli importi oltre 3mila euro mensili. Ora si sta valutando una differente rimodulazione dell'indicizzazione delle pensioni ma i margini di manovra sono ridotti dai limitati fondi a disposizione.

Altro tema caldo è quello delle pensioni d'oro, su cui si è già tentato di introdurre un contributo di solidarietà in modo da reperire risorse da restribuire a favore delle pensioni più magre. Tentativi bocciati dai giudici e quindi qui la difficoltà è trovare una formula in linea con la normativa vigente.

Entro fine anno il Governo dovrebbe prendere una decisione anche in merito all'incremento dell'aliquota contributiva prevista per gli iscritti alla gestione separata. In base alla legge 92/2012 (riforma del mercato del Lavoro dell'allora ministro Elsa Fornero), l'aliquota dovrebbe passare dall'attuale 27% al 33% entro il 2018. Un incremento ritenuto insopportabile dai professionisti a partita Iva iscritti alla gestione separata su cui ricade pressoche interamente questo onere dato che nelle attuali condizioni di mercato non possono permettersi di aumentare gli onorari fatturati ai committenti. In realtà quella separata è una delle poche gestioni in attivo nei conti Inps (l'avanzo patrimoniale è di 80,4 miliardi di euro e anche nel 2012 ha chiuso in attivo di 8,6 miliardi), tanto che l'attivo viene utilizzato a compensazione di quelle deficitarie. Rinunciare a un incremento dell'aliquota potrebbe complicare ancor di più il bilancio complessivo dell'Inps.

Infine ci sono gli esodati, conseguenza della riforma previdenziale Monti-Fornero di fine 2011, non ancora risolto. Le persone salvaguardate dagli effetti negativi del nuovo sistema finora sono meno di 150mila, a fronte di un bacino potenziale stimato di oltre 300mila. In questo caso il problema è il reperimento delle coperture necessarie, da parte del governo, per ampliare ulteriormente l'intervento e consentire così all'Inps di riconoscere il diritto alla pensione ed erogare il relativo assegno mensile sulla base delle regole in vigore fino al 2011.

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