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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2013 alle ore 08:24.

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di Ugo Tramballi
Non deve essere facile di questi tempi vendere di nuovo il marchio Egitto in giro per il mondo. «Perché mai? – si chiede Abdel Nour –. È il brand di una nuova democrazia, di un Egitto libero e laico, dove c'è giustizia sociale e apertura a tutte le culture e le fedi. E questo è parte del normale cammino della storia del mio Paese, del ruolo che siamo titolati ad avere, della nostra posizione geografica».
Lo stupore di Mounir Fakhry Abdel Nour, 68 anni, è retorico. Sa che per ora questo Egitto è più un auspicio che una realtà, quanto meno un cantiere in fase di ricostruzione. Ma è il ministro dell'Industria e del Commercio estero, la sua famiglia è stata tra i fondatori del Wafd, il primo partito laico e liberale del Paese. Ha il dovere di offrire la parte migliore di questa fase decisiva dell'Egitto contemporaneo.
Nour è venuto in Italia, la prima visita da quando è ministro del governo di Hazem al-Beblawi, instaurato il 16 luglio dai militari al posto di quello guidato dai Fratelli musulmani. Milano, Bergamo, Fiera di Verona, imprenditori e operatori. Siamo il primo partner commerciale dell'Egitto e a questo Abdel Nour tiene. «L'Egitto è un Paese di 90 milioni di persone che hanno bisogno di tutto – spiega il ministro –. Energia, trasporti, porti. Sono qui in Italia per dare un nuovo impulso ai nostri rapporti».
Molte aziende italiane operano già in Egitto ma con grandi difficoltà. Ogni volta che cambia il governo, i loro accordi vengono messi in discussione. «Non più – garantisce Nour –. Con noi tutti gli accordi firmati dal governo egiziano saranno rispettati, qualsiasi governo li abbia firmati».
Dopo due anni e mezzo di Primavera, manifestazioni, militari, fratellanza islamica, laici sotto la tutela del generale al-Sisi, la crisi economica morde. Il governo provvisorio civile ha una road map le cui priorità sono evidentemente politiche: nuova Costituzione e referendum che la confermi, nuove elezioni parlamentari e poi presidenziali. «Fra poche settimane avremo il testo della Costituzione, a fine anno il referendum. Il processo politico sarà concluso entro la prossima estate», garantisce il ministro.
Ma c'è la crisi economica che non aspetta le priorità politiche. Ad agosto il governo ha varato un piano d'emergenza da 3,2 miliardi di dollari per coprire le urgenze economiche dei prossimi dieci mesi. «Vogliamo puntare a una crescita del 3,5% e sarebbe stato impossibile senza l'aiuto di Arabia Saudita ed Emirati», spiega Abdel Nour.
I Paesi del Golfo hanno garantito un aiuto da 12 miliardi di dollari, cinque dei quali già sborsati. «La prima tranche del nostro programma - prosegue il ministro - prevede la costruzione di 100mila case, di 36 zone industriali, 22 clusters per la piccola e media impresa. L'esempio italiano per noi è fondamentale».
Il piano economico d'emergenza, tuttavia, non prevede riforme strutturali come la riduzione dei sussidi (quelli all'energia drenano il 7% del Pil) e la riorganizzazione del sistema fiscale. È ciò che chiede il Fondo monetario internazionale per garantire un aiuto da 4,8 miliardi di dollari. Difficile che sia ascoltato da un governo a tempo e alla ricerca di consenso.
Spiega il ministro: «La trattativa con il Fondo è ancora congelata e non pensiamo di riprenderla, ora. Abbiamo altre priorità. Dobbiamo rimettere l'Egitto sui giusti binari, riconquistare la fiducia dei mercati finanziari. Abbiamo assolutamente bisogno dell'aiuto internazionale perché i risparmi egiziani non sono sufficienti per far ripartire il Paese. Dobbiamo creare una struttura legale, spezzare quella stupida burocrazia che tiene lontani gli investitori».
In qualche modo le richieste di riforme del Fondo monetario proponevano una via d'uscita valida verso questi obiettivi. «Non serve che l'Fmi ci dica cosa fare – risponde con irritazione Nour –. Sappiamo anche noi di dover compiere passi coraggiosi. Ma dobbiamo essere in grado di spiegarlo alla gente: dobbiamo investire in educazione, creare una vera rete di sicurezza sociale che sostituisca i sussidi. Il Fondo monetario è essenziale ma è solo una parte della soluzione dei nostri problemi».
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