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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 14:26.
L'ultima modifica è del 17 novembre 2013 alle ore 15:03.

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Il premier irlandese, Enda KennyIl premier irlandese, Enda Kenny

L'Irlanda esce dalla tutela internazionale con orgoglio ma mantiene alta la guardia. Il giorno dopo l'annuncio ufficiale che Dublino, il 15 dicembre, uscirà dal programma triennale di aiuti da 67,5 miliardi senza la rete che una linea di credito precauzionale le avrebbe garantito, il premier Enda Kenny loda il «coraggio del popolo irlandese», ma assicura che l'atteggiamento del Paese non cambierà.

E il ministro delle Finanze, Michael Noonan, fa notare ai creditori internazionali - Fmi in testa - preoccupati che Dublino possa trovarsi a corto di fondi, che il Paese, già tornato sui mercati da qualche mese, ha da parte un cuscinetto di oltre 20 miliardi che basterà per le necessità di finanziamento di tutto il 2014. Al di là delle incertezze future, la ripresa dell'Irlanda dopo la crisi seguita allo scoppio della bolla immobiliare, è una esemplare success story europea, basata su alcuni punti fermi.

1 Un rigoroso percorso di risanamento
Dal 2008 il Paese ha varato ben sette manovre finanziarie, costate ai cittadini - tra tagli e nuove tasse - circa 30 miliardi, riuscendo a gestire complessivamente bene il disagio sociale dell'austerity. In questo modo il deficit è passato dal 10,6% del 2010, al 7,3% di quest'anno e dovrebbe scendere sotto il 3% nel 2015, ma la crescita non è stata azzerata, anche se, dopo il +2,2% del 2011, negli ultimi due anni è stata solo dello 0,2-0,3% e il debito pubblico ha continuato a crescere (124,1% la stima 2013).

2 Il traino delle esportazioni
Anche negli anni più bui della crisi le esportazioni non si sono fermate: +6,4% la crescita nel 2011, +5,4% nel 2012, +1,6% l'anno scorso. Un'economia piccola ma fortemente export oriented come quella irlandese ha dunque subito in maniera meno marcata di altre il contraccolpo dell'austerity sulla domanda interna, anche se quest'anno (crescita dell'export stimata allo 0,5%) pesa l'impatto negativo dovuto alla scadenza dei brevetti farmaceutici delle multinazionali. Il rovescio della medaglia è la vulnerabilità di un modello di questo tipo a fattori esterni, in primis il rallentamento dei principali partner: Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea.

3 Un fisco favorevole al business
Uno dei fattori di massima attrattività dell'Irlanda rimane il sistema fiscale, che ha continuato a garantire l'afflusso di investimenti diretti esteri e la presenza di numerosi colossi dell'hi-tech, come Google, Twitter, Intel, PayPal, che hanno fissato qui il loro quartier generale internazionale. Punto di forza è la corporate tax, al 12,5%, di cui possono beneficiare le società basate a Dublino. Tuttavia, grazie ad accorgimenti più sofisticati che combinano il regime irlandese con le scappatoie della legge statunitense, le multinazionali possono sottrarre del tutto al fisco una parte consistente dei profitti.

4 Competitività in aumento
Negli anni ruggenti dell'espansione economica irlandese il costo del lavoro unitario era cresciuto a ritmi superiori alla media europea; dal 2008 si è assistito invece a un progressivo declino, parallelo al drammatico aumento della disoccupazione (che tuttavia, dà segnali di miglioramento: 13,2% a settembre). Dal 2008 al 2015 il costo del lavoro unitario in Irlanda calerà quasi del 15%, aumentando l'appeal della manodopera, peraltro altamente qualificata e anglofona.

5 La gestione della crisi bancaria
La troika, nella sua ultima pagella, nota che il risanamento del settore finanziario irlandese procede, sebbene resti elevata la percentuale di prestiti a rischio. La Nama, la bad bank pubblica creata nel 2009 per iniettare liquidità nelle banche, cancellando dai loro bilanci asset e crediti problematici, li sta ricollocando sul mercato e rispetta finora i target. Restano i timori che i nuovi stress test europei evidenzino buchi negli istituti creditizi irlandesi. Ma il ministero delle Finanze rassicura: i requisiti sono solidi.

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