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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2013 alle ore 06:41.

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I giudici del Consiglio di Stato, il 17 dicembre, decideranno sulla querelle elettorale sfociata nel commissariamento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Lo faranno sulla base delle carte, delle ricostruzioni fornite dai protagonisti della vicenda e dei precedenti giudiziari. Chissà con quale animo leggerebbero quel fascicolo i giudici se avessero avuto la possibilità di sbirciare, da un angolo dell'Auditorium di via della Conciliazione, la manifestazione di ieri, circa mille commercialisti presenti. A Roma sono arrivati molti delegati degli Ordini territoriali e i rappresentanti delle sigle sindacali, insomma tutte persone coinvolte nella vita associativa di categoria, non il dott.comm. Bianchi o Cammarà, con studio in una qualsiasi delle vie di Milano e Catania. È un fatto che per la prima volta da oltre un anno le rappresentanze istituzionali (i sindacati già da tempo hanno sperimentato linee di azione comuni), schierate nella vecchia battaglia elettorale per la lista di Claudio Siciliotti o per la compagine di Gerardo Longobardi si siano ritrovate insieme per difendere la professione e contestare la riforma della revisione legale, attraverso cui potrebbe passare – sostengono i commercialisti – la nascita di una figura professionale "alternativa" dotata addirittura di "statuto" europeo. La vicenda elettorale che ha contrapposto Siciliotti/Longobardi si è accesa oltremodo dopo la chiusura delle urne, il 15 ottobre 2012. «Commercialisti, vittoria per due», titolava il giorno dopo Il Sole-24 Ore. La lista Siciliotti ha ottenuto 364 voti, decisive le 16 preferenze espresse dagli Ordini di Bari ed Enna che erano da tempo senza presidenti e che avrebbero dovuto essere commissariati, perché il venir meno del "leader" segna la decadenza – in base al decreto legislativo 139/2005 – per l'intero Consiglio. La lista Longobardi ha raccolto 358 voti, anche se fin dall'inizio erano emersi problemi circa il rispetto, da parte dei candidati, del requisito di rappresentanza geografica come fissato dal Dlgs 139/2005. Da qui un fiume in piena di veleni, con esposti in Tribunale, alla procura della Repubblica di Aosta – sede del trasferimento di Giorgio Sganga per evitare l'inammissibilità della lista Longobardi, un passaggio ritenuto fittizio da ultimo dal Tribunale – delibere del vecchio Consiglio nazionale censurate dal Tar Lazio, interventi a più riprese del ministero della Giustizia, che l'11 dicembre 2012 ha deciso il commissariamento del Consiglio nazionale e nuove elezioni per il 20 febbraio. Sono seguiti i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato contro le nuove elezioni – bloccate – e nel merito della vicenda. I giudici amministrativi si sono trovati concordi nel definire la «confusa situazione in cui vive l'Ordine». Per il Tar, come detto, il commissariamento della Giustizia è stato giustificato da «gravi e ripetuti atti di violazione di legge» commessi alla fine dal vecchio Consiglio nazionale, cui è tra l'altro toccato (tra conflitti di interesse incrociati) decidere sulla nullità del trasferimento ad Aosta. Ora si attende il Consiglio di Stato, che ha ritenuto di non celebrare nuove elezioni in attesa di stabilire la verità giuridica sul voto dell'ottobre 2012. Si vedrà se la sentenza sarà così chiara da tagliare le gambe alla contesa e da riaprire la strada a un nuovo vertice. Se si tornasse a elezioni l'auspicio, per molti Ordini, è quello di una sola lista dei dottori commercialisti per chiudere oltre un anno passato tra le carte bollate e ricominciare dallo spirito, unitario, che – sotto la regia di un commissario – si è respirato ieri all'Auditorium di via della Conciliazione.
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