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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2013 alle ore 12:09.

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Anche il Tar del Lazio conferma lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. La prima sezione presieduta da Calogero Piscitello ha infatti respinto il ricorso proposto dall'ex amministrazione comunale, confermando nei fatti la decisione assunta il 9 ottobre 2012 dal Consiglio dei ministri che, su proposta dell'allora ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, dispose all'unanimità lo scioglimento per contiguità mafiose del consiglio comunale di Reggio Calabria. All'epoca il sindaco era Demetrio Arena (Pdl), attualmente assessore regionale alle Attività produttive, mentre ora il Comune è in mano a una terna commissariale prefettizia per la gestione provvisoria.

Alla base della decisione di un anno fa ci furono – tra le tante cose - i tentativi di infiltrazione della ‘ndrina Tegano nella municipalizzata Multiservizi (poi sciolta), rivelata nel novembre 2011 dall'indagine Astrea, la familiarità di alcuni politici con personaggi legati alle cosche, i passaggi oscuri sui controlli degli appalti e la gestione di alcuni beni confiscati. Al vaglio della commissione prefettizia – il cui accesso agli atti nel Comune fu disposto a gennaio 2012 dall'allora prefetto Luigi Varratta – rientrò anche la gestione finanziaria dell'ente, il cui bilancio è stato pesantemente criticato, tra gli altri, dal ministero dell'Economia e dalla Corte dei conti fin dal 2011.

Le parole del ministro.
«Siamo assolutamente consapevoli della scelta fatta – disse il ministro Cancellieri – che è stata valutata con molta sofferenza ma abbiamo la volontà di restituire il paese alla legalità: senza legalità non c'è sviluppo». Il ministro Cancellieri spiegò che il consiglio comunale di Reggio Calabria fu sciolto per continguità e non per infiltrazioni. «Speriamo che la città possa trovare la serenità e riprendere il suo cammino: vogliamo che Reggio sappia che questo è un atto di rispetto per la città. Il governo è molto vicino alla città di Reggio Calabria e farà di tutto per far risorgere questa città dandole risorse necessarie e importanti compatibilmente con i mezzi che abbiamo a disposizione»: così concluse la conferenza stampa prima di passare la gestione alla terna prefettizia.

Il ricorso.
Il 9 dicembre 2012 gli avvocati Roberto Nania, Alberto Gamberini, Luigi e Francesco Migliarotti e Giuseppe Valentino formalizzarono il ricorso che il Pdl (che governava la città) definì una strada obbligata, visto che era stata «colpita un'intera comunità, marchiando in maniera indelebile Reggio quale città mafiosa, una decisione adottata da un apparato statale incapace di dare segnali concreti alla gente sul fronte del reale contrasto alla criminalità e dell'amministrazione della cosa pubblica, specie in una città importante per storia, dimensione, tessuto socio-economico e dinamiche imprenditoriali. Un ricorso promosso e fortemente voluto dal Popolo della Libertà, con il chiaro e naturale intento non solo di rendere giustizia a un sindaco, a una classe dirigente e a una parte politica defraudata del consenso popolare ricevuto in maniera netta meno di due anni fa, ma anche e soprattutto di salvaguardare e tutelare la grande maggioranza dei reggini, che si sono sentiti ingiustamente accostati alla criminalità organizzata senza averne alcuna responsabilità». Il primo firmatario del ricorso fu l'ex sindaco Arena.

Le mosse in difesa.
Il Pdl accompagnò il ricorso con continue prese di posizione contro la gravità di un gesto che – per la prima volta – colpiva un comune capoluogo. Il 10 gennaio di quest'anno – nel corso della presentazione del volume "La democrazia sospesa", dedicato proprio allo scioglimento del consiglio comunale - l'ex sindaco e attuale Governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, dichiarò: «Avete messo in ginocchio una città per il gusto di provare la soddisfazione di vedere eliminata una classe dirigente». E rivolgendosi poi al suo collega Arena aggiunse frasi difficili da inquadrare: «Non sono stati soltanto loro perché non avrebbero avuto tutta questa forza caro Demi …va inquadrato tutto in questo sistema della famosa tecnocrazia, di questa lobby perversa che c'è sul livello europeo, che ha il compito di guidare alcune scelte e che in Italia è arrivata dando un segnale chiaro ed evidente, quello di azzerare un po' dove si poteva le classe dirigenti e quindi mettere in ginocchio i territori per dimostrare che la povertà è frutto della malapolitica, tutta una serie di scelte che ovviamente hanno inciso profondamente nel nostro tessuto sociale ed economico e quindi automaticamente scelte mirate che hanno avuto la capacità di costruire questo tipo di rapporto e come spesso accade nel momento in cui il Paese-Italia ha difficoltà e di fronte l'Europa il suo presidente dice beh qualcuno deve pagare…». Il Tar ha spazzato via ogni dubbio sul potere della "tecnocrazia" vagheggiato da Scopelliti.

Incandidabilità.
Per Reggio Calabria, comunque, il ritorno alla normalità amministrativa è ancora lungo. Il 19 luglio di quest'anno Rodolfo Palermo, presidente della prima sezione civile del Tribunale di Reggio Calabria, ha firmato una sentenza di indandidabilità per 8 ex amministratori. In Camera di consiglio c'erano anche i giudici Giulia Messina e Salvatore Pugliese. In 120 pagine il Tribunale in primo grado ha dichiarato l'ex sindaco di Reggio Arena Demetrio, Curatola Walter, Eraclini Giuseppe, Martorano Giuseppe, Morisani Pasquale, Plutino Giuseppe, Tuccio Luigi e Vecchio Sebastiano incandidabili alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria

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