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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2013 alle ore 08:28.

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MILANO.
Edilizia privata al palo, lavori pubblici senza finanziamenti. La crisi ha fortementre assottigliato, in Italia, le prospettive della progettazione nell'ingegneria e nell'architettura. Mentre all'estero c'è molto da fare, noi siamo pochi e poco percepiti. Colpa anche delle nostre società di progettazione «sottodimensionate rispetto alle grandi design firms europee, statunitensi e – in via crescente – asiatiche».
È stato presentato ieri alla Triennale di Milano il Rapporto 2013 sull'Imprenditoria di progetto che delinea lo stato dei servizi di ingegneria, architettura e consulenza tecnica, oltre che la congiuntura di settore. Dai dati dell'Authority sui contratti pubblici (Avcp) nel 2012 la domanda di servizi di progettazione è stata di 776 contratti pari a 2,1 miliardi (-21,3% in quantità rispetto al 2011 ma a +7,2% in valore). Mentre gli investimento in costruzioni sono calati in un anno del 6,9 per cento.
Se, insomma, l'Italia non riesce più a essere un mercato adeguato – si legge nel rapporto – quella estera resta difficile da intercettare dato che la gran parte dei 213mila ingegneri e degli oltre 142mila architetti operano individualmente o in società semplici, senza apporto di capitali e struttura manageriale che li renda "concorrenziali" sui mercati maturi come sugli emergenti. Dove invece primeggiano le design firm anglosassoni.
E infatti tra le italine "resistono" solo le società con assetto d'impresa, che si ritagliano fette di mercato negli impianti "tailor-made". Quasi assenti nell'edilizia internazionale, si rifanno con l'impiantistica, soprattutto nell'oil&gas. Nell'ingegneria le prime 100 società italiane chiudono il 2012 con 1,4 miliardi di fatturato (invariato rispetto al 2011). Soffrono invece quelle di architettura, con produzione a -5,7% e -12,3% di redditività.
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