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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2013 alle ore 08:21.

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L'Unione europea vale una rivoluzione? Nove anni dopo, la grande piazza dell'Indipendenza di Kiev torna a riempirsi, ieri per la seconda sera consecutiva. Altri manifestano a Leopoli, a Uzhgorod, a Donetsk, a Ivano-Frankovsk. È l'Ucraina che si sente più vicina all'Europa, anzi - come è scritto in un cartello - che dice di «essere l'Europa». «Yanukovich non è l'Ucraina, l'Ucraina siamo noi», protestano altri studenti, delusi dalla decisione del Governo di rinunciare all'Accordo di associazione alla Ue. Finora sono poche migliaia, non paragonabili ai tempi della Rivoluzione arancione, quando a incitare le piazze c'era Yulia Tymoshenko. Lo fa anche oggi, ma dall'ospedale di Kharkiv dove è ricoverata sotto scorta: «Chiedo alla gente di reagire come farebbe di fronte a un colpo di Stato: scendete nelle strade», ha scritto la leader dell'opposizione in un messaggio letto dal suo avvocato.
La sua scarcerazione era la più discussa tra le condizioni avanzate dall'Unione europea per acconsentire alla firma che avrebbe avvicinato l'Ucraina all'Europa, al vertice del prossimo 28 novembre a Vilnius. Ma ora è difficile distinguere tra le vere ragioni che hanno spinto Viktor Yanukovich a far marcia indietro, auspicando un rilancio dei legami economico-commerciali con Mosca piuttosto che con Bruxelles. Ieri il suo primo ministro, Mykola Azarov, ha spiegato in Parlamento che la decisione del Governo è nata «da motivazioni economiche». Attento a chiarire, almeno formalmente, che Kiev non vorrebbe tagliare del tutto i ponti con Bruxelles, Azarov ha aggiunto che gli «obiettivi strategici» del Paese non cambiano: la rinuncia all'Accordo di Vilnius è solo «tattica». «Crediamo che il futuro dell'Ucraina sia in un forte legame con l'Unione europea», gli ha risposto Catherine Ashton, responsabile Ue per gli Affari esterni, ugualmente attenta a non ritrarre completamente la mano.
Ma se dietro il gran rifiuto di Yanukovich ci sono i vantaggi economici di un riavvicinamento a Mosca, oppure il desiderio di lasciare Yulia Tymoshenko in carcere in modo da non doverla affrontare alle presidenziali del 2015, la scelta tra Europa e Russia imposta all'Ucraina - tra promesse di aiuti e minacce di ritorsioni - ha assunto un carattere geopolitico. E ora i due fronti si scambiano accuse reciproche: l'ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski, protagonista dei negoziati di questi mesi per raggiungere un accordo con Kiev, ha denunciato le «pressioni senza precedenti» esercitate da Mosca: «I russi hanno messo mano all'intero arsenale di possibilità che hanno in Ucraina», ha detto ieri. Mentre Vladimir Putin, che celebra un'altra importante vittoria di politica estera ma dovrà trovare un modo per "premiare" Yanukovich facendosi carico di un debito sulle forniture di gas che ha superato il miliardo, ha accusato a sua volta «i partner europei» di aver ricattato l'Ucraina, sottoponendola a minacce tra le quali il presidente russo ha sottolineato l'organizzazione di proteste di massa.
La soluzione, per Putin, è una ridefinizione delle relazioni commerciali che tenga conto dei legami tra Russia e Ucraina, e tra i due Paesi insieme con la Ue. Negoziati trilaterali che per ora la presidenza lituana della Ue esclude: «Non riesco a immaginare un formato a tre», ha tagliato corto il ministro degli Esteri Linas Linkevicius.
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