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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2013 alle ore 08:45.

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GRINZANE CAVOUR. Dal nostro inviato
La crisi sta cambiando ogni cosa. In particolare, la violenza della recessione ha accelerato il riconfigurarsi degli equilibri e la mutazione della fisiologia - economica, finanziaria e civile - del nostro Paese. Fra dimensione nazionale e territori, fondazioni e banche, vecchi enti pubblici e nuovi investitori di lungo periodo. Al castello di Grinzane Cavour, ieri, si è svolto il convegno «Oltre la crisi: attori e infrastrutture per lo sviluppo», promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e da Ubi Banca. Un incontro segnato da un metodo inusuale, nell'Italia di oggi: non il rosario triste dei mali di una nazione esausta, ma un seminario aperto – a imprenditori e professionisti, banchieri e intellettuali – in cui si è provato a riflettere, con intensità, sulle linee di sviluppo future. «E' in atto un cambiamento generale, doloroso ma non privo di opportunità - nota Ezio Falco, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo - che appare coerente con l'evoluzione, virtuosa, sperimentata da tempo dalle fondazioni. Abbiamo smesso di essere i bancomat delle comunità». Le fondazioni, dunque, non sono più semplici ruote di scorta degli enti pubblici. Ma vengono chiamate, sempre con maggiore frequenza, a svolgere un compito complesso: elaborare progettualità. E non lo fanno da sole. «Le fondazioni - riflette lo storico dell'economia Giuseppe Berta – la Cdp, F2i e una esperienza più piccola ma interessante come Sinloc compongono un sistema corale che è in grado di dare l'abbrivio a un nuovo tipo di sviluppo. Sempre partendo dalla dimensione territoriale. Ma rifuggendo dalla mera cifra del campanile. Adoperando logiche industriali e forme di razionalità economica in grado di valorizzare e aggregare le esperienze locali. In una chiave, appunto, non localistica». Oggi, in una Italia segnata da un lato dalla scarsezza delle risorse pubbliche e dall'altro dall'asfissia del mercato interno e dall'insostenibilità sul lungo periodo di una crescita fondata soltanto sull'export, le infrastrutture tornano ad avere un ruolo centrale. Anche se non più ha alcun senso pensare a forme grossolane di tardo keynesismo. Assumi qualcuno per scavare una buca. Pagalo. E l'economia ripartirà. Bisogna, invece, fare operazioni chirurgiche. «Negli anni '90 – riflette Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di Sorveglianza di Ubi Banca – abbiamo puntato sulle infrastrutture materiali. Poi, è stata l'ora delle infrastrutture immateriali. In realtà, proprio in questo passaggio complicato, abbiamo capito che ogni nuova infrastruttura deve contemplare l'una e l'altra cosa: materialità e immaterialità. Soltanto così si può fare economia della conoscenza. Inoltre, con opere mirate di nuova concezione è possibile contribuire alla rottura dell'incantesimo malefico in cui siamo caduti tutti quanti: basta piangere. Dobbiamo risvegliarci da questo torpore». Archiviata la spesa pubblica quale unica leva, oggi ci sono nuovi strumenti. Ad esempio, un investitore come F2i. Che contribuisce a privatizzazioni locali e a catalizzare aggregazioni con scale dimensionali in grado di funzionare. Con un occhio, sempre, allo scenario nazionale e internazionale. «Guardate - sottolinea Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i Sgr – che, in una ottica sistemica, non è poca cosa che una società come la nostra, italiana e focalizzata sull'Italia, mantenga nel nostro Paese tutto il suo Ebitda e non lo trasferisca all'estero come potrebbe fare, invece, un soggetto straniero». Il trauma della recessione, dunque, sta modificando gli equilibri. Fa male. Ma costringe a ragionare in modi inusuali. «Indebitarsi così, tanto per fare le cose - nota Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa Depositi e Presititi – è una logica che non funziona più. Soprattutto nel caso degli enti pubblici». Oggi, però, esistono nuove possibilità. «Con i tassi all'uno per cento – continua Gorno Tempini – gli investitori di lungo periodo interessati alle infrastrutture si trovano. Soltanto che i progetti devono rispondere a criteri di produttività e devono conciliare il meglio della cultura privata e della cultura pubblica». Fondi pensioni e compagnie di assicurazione, per esempio. E, perché no, anche i privati. «Questa è una delle province più ricche d'Italia - dice Gamberale, orgoglioso degli ottimi rendimenti della sua società - perché non pensate di investire i vostri capitali nel secondo fondo di F2i?». E, in una sala gremita di imprenditori del vino e dei dolci, della meccanica e dell'elettronica, in molti sorridono.
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