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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2013 alle ore 08:21.

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PECHINO. Dal nostro corrispondente
Spente le luci della Great Hall of People, di concreto resta la roadmap da qui al 2020 frutto del Summit Europa-Cina. Emma Marcegaglia è presidente di Business Europe, l'associazione degli industriali europei: per un felice gioco di coincidenze ha partecipato all'evento con altri due italiani protagonisti nelle relazioni sinoeuropee, Alessandro Barberis, presidente di Eurochambres, e Davide Cucino, a capo della Camera di commercio europea in Cina. Italiani in posti chiave per la buona riuscita del Summit.
Presidente, nel suo intervento in plenaria lei ha sottolineato il contributo della vostra associazione al negoziato. Quanto vale davvero questo accordo?
Vale molto. Sull'investment agreement, che è il fulcro di questa svolta, in pratica è stata una ricerca di regole condivise, si è fatto molto lavoro di preparazione e anche durante il negoziato il nostro contributo è stato rilevante.
Il tema del free trade agreement sembra sia stato, comunque, affrontato nonostante le perplessità mostrate da alcuni Stati. Prima o poi il tema tornerà a fare capolino sul tavolo negoziale tra Cina ed Europa?
L'impressione è che l'accordo di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa abbia spiazzato la Cina, che si è sentita in dover di rilanciare con un analogo accordo con l'Europa. Direi che non ci sono le premesse per un simile passo. Troppe variabili ancora in gioco, la Cina deve ancora compiere passi importanti nei confronti delle aziende europee.
Quali sono le barriere che impediscono rapporti più efficaci?
Le premesse per un accesso autentico al mercato devono esserci davvero. Quindi diciamo no al trasferimento di tecnologie a senso unico, chiediamo che la disclosure obbligatoria su certi versanti non sia penalizzante per chi fa business in Cina in particolari settori produttivi. Sull'IP qualcosa si è fatto, ma chiediamo alla Cina di rafforzare l'enforcement, altrimenti anche le recenti riforme sul trademark non avranno effetto.
Quindi, si riparte all'accordo sugli investimenti: obiettivo dichiarato tra Europa e Cina di mille miliardi di euro di scambi nei prossimi sette anni. Il premier Li Keqiang ha detto che non è un frutto a portata di mano, ci sarà da lavorare ma che un'Europa unita, stabile e prospera, è nell'interesse del mondo e della Cina.
La Cina sta compiendo passi notevoli nel campo delle riforme. Come ho detto nel mio discorso al Business Summit, stabilire regole certe e condivise per parte cinese ed europea aiuta a prendere decisioni, stabilizza e ottimizza gli investimenti. Senza regole le imprese non possono gestire al meglio la loro presenza qui, il senso di precarietà che si fa largo è più che plausibile. Ma la Cina deve mettere qualcosa nel piatto, non dimentichiamo che il 50% dell'export cinese è fatto in Asia da aziende in cui l'apporto di know how occidentale è determinante.
Quali problemi ancora impediscono relazioni vicendevolmente più utili e profittevoli?
Il problema è il procurement, la Cina non ha ancora adottato questo impegno preso in sede Wto e le imprese di Stato, poco industriali, sono sovvenzionate. Deve esserci un principio di pari trattamento. Prima bisogna fissare le regole, poi si gioca la partita.
L'Europa riprenderà a crescere. Crescerà un poco, dicono gli esperti.
Siamo sotto le potenzialità nei rapporti reciproci, il total outflow dalla Cina in Europa è appena al 2,2 percento. Lo sbilancio commerciale, al contrario, è di ben 145 milioni. Un fattore reale, un handicap che bisognerà superare o, almeno, ridurre al più presto.
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