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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2013 alle ore 08:47.

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Come noto, secondo Aristotele l'uomo è un animale razionale: "animale" perché condivide con gli altri animali una serie di caratteristiche fisiche, e "razionale" perché, a differenza degli animali che hanno soltanto un'anima vegetativa e sensitiva, ha anche un'anima razionale. La razionalità ci definisce quindi per quello che siamo, e riuscire a comprenderla significa, come sottolinea Robert Nozick in The nature of rationality (1993), individuare le caratteristiche essenziali della natura umana. Tuttavia spiegare che cosa sia la razionalità, come con grande chiarezza e ricchezza di argomenti spiega Paolo Labinaz nel suo saggio, è compito tutt'altro che semplice.
In prima battuta possiamo definire la razionalità come manifestazione del l'esercizio della ragione. È razionale chi fa uso della ragione, perché Il sonno della ragione genera mostri, come ricorda il titolo di una famosa acquaforte di Goya. Quindi potremmo dire che si comporta in maniera razionale chi è in grado di fornire ragioni dei propri pensieri e delle proprie azioni. In realtà, però, per essere razionali non basta semplicemente fare uso della ragione, bisogna anche farne un buon uso.
E questo risulta evidente in moltissime circostanze, da quelle più serie e importanti a quelle più frivole. Prendiamo una situazione classica: la fidanzata si arrabbia con il fidanzato che si è dimenticato di regalarle dei fiori per il loro anniversario. Perché si arrabbia? Perché ragiona così: 1) se mi regali dei fiori per il nostro anniversario vuol dire che mi ami; 2) non mi regali dei fiori; 3) allora non mi ami. Che ne dite? È un buon modo di ragionare? No, perché si tratta di un ragionamento fallace (la cosiddetta "fallacia della negazione dell'antecedente") in cui la conclusione non segue logicamente dalle premesse: le premesse infatti potrebbero essere vere e la conclusione falsa, come nel caso in cui il fidanzato, poniamo, non le abbia regalato dei fiori perché è stato derubato.
Il punto interessante poi non è soltanto che talvolta ragioniamo male, ma anche che spesso ci comportiamo in maniera palesemente irrazionale, magari ritenendo vero qualcosa solo perché lo desideriamo o agendo contro i nostri interessi. Si pone quindi la questione di quali siano le norme alla base del comportamento razionale che, secondo Edward Stein, consiste nel ragionare secondo principi che si basano sulle regole della logica e sulle teorie della probabilità. Al concetto di razionalità sono inoltre state attribuite la funzione esplicativo/predittiva (quando presupponiamo la razionalità degli altri esseri umani per spiegare e prevedere il loro comportamento), quella prescrittiva e quella valutativa (dove la razionalità è un obiettivo da raggiungere o un metro di valutazione). Per molto tempo nelle scienze economico-sociali è prevalso l'approccio esplicativo/predittivo il cui presupposto di base è stato tuttavia ampiamente messo in discussione da ricerche sperimentali che, mostrando quanto spesso le persone compiano errori di ragionamento, avvalorano la tesi secondo la quale la razionalità non sia qualcosa di connaturato agli esseri umani e occorra invece rivalutarne la funzione prescrittiva e valutativa.
All'approccio normativo – che individua le regole di correttezza del ragionamento e sviluppa modelli di razionalità – si affianca quindi l'approccio descrittivo alla razionalità – che spiega come di fatto ragioniamo esplicitando i meccanismi cognitivi che stanno dietro le nostre pratiche di ragionamento. Da questa diversità di approcci ha preso origine un vivace dibattito interdisciplinare da cui emerge come la difficoltà principale sia riuscire a chiarire lo scarto tra come gli esseri umani si comportano e come invece si dovrebbero comportare.
Non stupisce quindi che si rivelino particolarmente interessanti quei modelli di razionalità "a misura d'uomo" tra i quali si colloca la teoria della razionalità limitata di Herbert Simon (Administrative Behavior 1958), secondo la quale occorre tenere conto dei limiti cognitivi e ambientali all'interno dei quali gli esseri umani prendono decisioni e ottengono determinati risultati. In questa direzione, altre ricerche importanti sono quelle condotte dagli psicologi evoluzionisti – secondo i quali nello studio della razionalità occorre fare riferimento al sistema cognitivo umano e ai problemi adattivi ai quali ha dovuto far fronte nella sua storia evolutiva – e dagli studiosi attenti alla dimensione ecologica – secondo i quali occorre concentrarsi su come il comportamento degli esseri umani si è adattato al mondo circostante e ai suoi continui cambiamenti. Nell'ultima parte del libro Labinaz rivendica l'esigenza di una teoria della razionalità capace di inserirsi in una visione globale della cognizione umana e che, al di là di quadri teorici standard, prospettive rigidamente evoluzionistiche o adattiviste, sappia tenere conto delle molteplici variabili che influenzano il modo di pensare e di agire degli esseri umani.
Per questo prende in considerazione da un lato le teorie dei sistemi duali (che integrano la componente automatica e inconscia del nostro sistema cognitivo con una componente più consapevole) e dall'altro le ricerche che ritengono che la nostra capacità di ragionamento si sia evoluta in funzione sociale, concludendo con un accenno agli studi che esaminano le differenze sussistenti tra soggetti che appartengono a culture e società diverse, domandandosi se la razionalità umana presenti modalità di manifestazione differenti a seconda del contesto socioculturale dei soggetti che la esercitano. Forse quindi anche la razionalità, come l'essere secondo Aristotele, si dice «in molti modi».

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