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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2013 alle ore 15:00.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2013 alle ore 16:20.

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Ryan Crotty (Ap)Ryan Crotty (Ap)

Una partita brutta e una vittoria degli avversari: per l'Italia, quando affronta in casa l'Argentina, il menu è regolarmente questo. Da 15 anni gli Azzurri non battono i Pumas in un match interno. La squadra sudamericana si è presentata sabato a Roma non certo al massimo della forma: le mancavano uomini importanti, arrivava da otto sconfitte consecutive. In campo, poi, ha concesso parecchio sul piano della mancanza di disciplina.

Eppure l'ha "sfangata", perché ha saputo ricompattarsi nei momenti essenziali, ha giocato senza frenesia le parti fondamentali del match, mentre Parisse e compagni continuavano a non avere sufficienti dosi di testa e di organizzazione.

Si potrebbe parlare di questo o quell'episodio, come capita sempre quando un incontro si decide per una manciata di punti. Ma si finirebbe per perdere di vista il fulcro della questione. Indipendentemente dalla vittoria su Figi in una partita a sé, questa squadra sembra al centro di una involuzione vera e propria: è molle in difesa, almeno nel primo impatto, e in attacco non sa proporre piani di gioco convincenti. Dopo avere giocato un buon Sei Nazioni e avere deluso nel torneo estivo in Sudafrica (con l'attenuante di diversi "esperimenti"), l'autunno ci consegna una realtà difficile da interpretare. Ovviamente, il ct Jacques Brunel sarà in grado di effettuare una diagnosi di una certa precisione, ed è proprio di questo che c'è bisogno, altrimenti non può partire una cura efficace. Fatto sta che, ora come ora, nemmeno sul piano "anagrafico" sembriamo messi tanto bene, con i senatori che non fanno la differenza sul piano dell'esperienza e i giovani che (con l'eccezione parziale di Allan) non aggiungono quasi mai quel qualcosa in più in fatto di freschezza e spregiudicatezza. Tra l'altro, abbiamo perso due posizioni nel ranking mondiale, scendendo dall'11° al 13° posto.

Al Sei Nazioni mancano poco più di due mesi. Non resta che sperare in una robusta inversione di tendenza, altrimenti saremmo condannati alla solita partita della vita con la Scozia, con il solo obiettivo di evitare il cucchiaio di legno.
Intanto, mentre l'Australia prolunga il suo soggiorno europeo con un ultimo match sabato, l'Argentina salva il suo bilancio grazie alla garanzia Italia, e Sudafrica e Nuova Zelanda tornano a casa con un bottino di sole vittorie. Per gli All Blacks - prima squadra a vincere tutte le partite di un anno, 14 su 14, da quando è iniziata l'era professionistica del rugby -è stata una tournée senza vittorie facili e con un finale epico, che gli appassionati ricorderanno per sempre. Dopo avere battuto la Francia 23-16 e l'Inghilterra 30-22 (riscattando la sconfitta subìta 12 mesi prima, l'unica da oltre due anni a questa parte), McCaw e i suoi hanno affrontato domenica una partita apparentemente più semplice. Ma a Dublino l'Irlanda, che in 108 anni di sfide dirette aveva collezionato finora 26 sconfitte e un pareggio, ha giocato davvero la partita della vita, ha condotto la gara dall'inizio, è rimasta in vantaggio fino all'ultimo minuto, e anche oltre: "peccato" che nel rugby l'arbitro non fischi la fine nel corso di un'azione ma sia tenuto ad attendere che il gioco si fermi. E allora succede che quando il cronometro segna 79 minuti e 45 secondi (in sostanza, a 15 secondi dalla fine) l'Irlanda, che in quel momento è nella metà campo avversaria e ha cinque punti di vantaggio (22-17), si fa fischiare un fallo contro. E da lì gli All Blacks cominciano la loro traversata nel deserto, che poi tanto deserto non è, anzi: irlandesi ovunque a fare diga e All Blacks a forzare i posti di blocco, ad andare avanti metro dopo metro, a mantenere la palla per un numero infinito di fasi e per un paio di minuti senza commettere errori. Per arrivare alla meta di Ryan Crotty, un rincalzo, contro una squadra sfinita. E fin qui è pareggio, 22-22. Poi la trasformazione di Aaron Cruden per la possibile vittoria degli uomini in nero: la palla esce. Finita qui? No, perché gli irlandesi sono "saliti" verso il calciatore prima che iniziasse la rincorsa. E allora il difficile tentativo è da ripetere, e stavolta il n. 10 non sbaglia, dando la vittoria ai suoi e gettando un Paese nella disperazione sportiva.

Siamo partiti dalla fine, ma il resto della battaglia non è stato da meno. Mai gli All Blacks si erano trovati sotto nel punteggio per 19-0, e mai, salvo smentite che potrebbero arrivare da match internazionali minori, una Nazionale è riuscita a rimontare da uno scarto così alto. Il bello è che gli irlandesi hanno giocato con l'intensità giusta non solo in quei primi clamorosi venti minuti nei quali hanno messo a segno tre mete (con Conor Murray, Rory Best e un magnifico Rob Kearney), ma hanno ben poco da rimproverarsi anche per il prosieguo della partita. Dopo la meta subìta da Julian Savea hanno chiuso il primo tempo sul 22-7 grazie a un piazzato di Jonathan Sexton. Nella ripresa Cruden accorciava a 22-10 con un penalty, poi toccava a Ben Franks sfondare (e a Cruden trasformare la seconda meta degli ospiti) per il 22-17. Però i padroni di casa non erano rinunciatari o passivi, al punto che a cinque minuti dalla fine conquistavano il penalty che poteva mettere fine a ogni ambizione di rimonta: calcio tutt'altro che impossibile, ma Sexton, al termine di un periodo infinito di concentrazione, lo falliva. Gli All Blacks capivano che forse c'era ancora una possibilità, una sola: e da campioni del mondo non se la lasciavano sfuggire.

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