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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2013 alle ore 09:35.
L'ultima modifica è del 27 novembre 2013 alle ore 09:55.

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Roma - Una scadenza è stata rispettata, per l'altra c'è attesa, perché la lotta alla mafia non tollera tempi morti. La scadenza rispettata è quella dei novanta giorni entro i quali la Commissione voluta dal Governo - di cui fanno parte a titolo gratuito il magistrato del Consiglio di Stato Roberto Garofoli, i magistrati della Cassazione Raffaele Cantone ed Elisabetta Rosi, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, il dirigente della Banca d'Italia Magda Bianco e il docente di Procedura penale Giorgio Spangher – avrebbe dovuto presentare l'analisi della fenomenologia e le proposte sulla lotta alle mafie, anche di natura patrimoniale.

Ora si attende la scadenza più importante: quella in cui il Governo presenterà il lavoro composto di 399 pagine, spedito per tempo al premier Enrico Letta. Il rapporto contiene moltissime proposte, alcune delle quali rivoluzionarie. Anticiparle tutte è impossibile ma dal tenore di alcune di questi è facile prevedere che la discussione politica sarà animata quando il capo del Governo, al quale la Commissione risponde direttamente, deciderà di presentarle. Di alcune il Sole-24 Ore è in grado di anticipare qualche contenuto.

Si parte dalle modifiche al regime di carcere duro (articolo 41 bis). In barba a chi ne auspica un giorno sì e uno no l'ammorbidimento, la Commissione rilancia. La proposta è quella di concentrare i circa 750 detenuti che stanno scontando la pena con questo regime, attualmente distribuiti tra circa 20 istituti dal sud al nord, in poche carceri, senza possibilità di metterli nelle stesse strutture che ospitano anche detenuti di alta sicurezza o comuni. Un percorso che lo stesso ministero della Giustizia, proprio in queste settimane, sta cercando di compiere parzialmente e con non poche difficoltà.

Il passo ulteriore è quello di inserire i detenuti in regime di 41 bis in strutture ad hoc (anche con la creazione di nuove) e con personale altamente specializzato. Il ragionamento seguito è questo: così come esiste il Gom (il Gruppo operativo mobile) della Polizia penitenziaria, così dovrebbero essere formati dirigenti, funzionari e professionisti (dal direttore agli educatori, dai medici agli psicologi) in grado di trattare e gestire al meglio chi si è stato condannato per mafia, terrorismo ed eversione.

Un'altra proposta destinata a lasciare il segno è quella relativa ai beni confiscati. La Commissione propone di sottrarre ai prefetti la direzione dell'Agenzia nazionale e assegnarla ad un magistrato ma – soprattutto – toglierne la vigilanza al ministero dell'Interno e portarla, per la sua strategica valenza anche d'immagine, sotto la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il Consiglio direttivo dell'Agenzia – attualmente presieduto dal direttore e composto da due magistrati designati l'uno dal ministro della Giustizia e l'altro dal Procuratore nazionale antimafia oltre che da due esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati di concerto dal ministro dell'Interno e dal ministro dell'Economia – aprirebbe anche a soggetti esterni, quasi da diventare una sorta di Consiglio di amministrazione.
Un'altra modifica proposta – tra le molte – riguarda lo scambio elettorale politico-mafioso (articolo 416 ter del codice penale), che andrebbe a ricomprendere tra le ragioni dello scambio non solo l'erogazione di denaro ma qualunque altra utilità che prefiguri lo scambio corruttivo.

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