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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2013 alle ore 06:46.

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TOKYO. Dal nostro corrispondente
Dopo i due B-52 inviati dal Pentagono, anche velivoli militari giapponesi e sudcoreani hanno sorvolato ieri parte della nuova Adiz (l'area di identificazione per la difesa istituita sabato scorso dal Ministero della Difesa di Pechino) senza notificare la loro rotta o comunicare con le autorità cinesi. Non solo: decine di voli delle compagnie giapponesi Jal, Ana e Peach Aviation sono passate per la zona senza comunicare con i cinesi, accettando la richiesta del governo di Tokyo che si era infuriato perché inizialmente lo avevano fatto.
La tensione è altissima e la Cina, secondo l'agenzia di Stato Xinhua, avrebbe inviato nella stessa zona di difesa aerea, caccia e velivoli da ricognizione. Il portavoce dell'aviazione militare cinese, Shen Jinke, ha dichiarato che si tratta di un'azione di pattugliamento «nell'ambito di misure di difesa e in linea con le comuni pratiche internazionali».
Il giorno prima, sul fronte dei voli civili la reazione del governo di Pechino è stata blanda, mentre appare potenzialmente minaccioso il silenzio su quelli militari: «Non abbiamo come target le normali aerolinee commerciali internazionali, anche se, avendo emesso il nostro avviso, contiamo su una loro attiva cooperazione», ha dichiarato Qin Gang, portavoce del ministero degli Esteri . «Stiamo conducendo come al solito le nostre attività di sorveglianza navali e aeree nel Mar Cinese orientale e continueremo a farlo per proteggere il territorio nazionale _ ha annunciato ieri il portavoce dell'esecutivo di Tokyo, Yoshihide Suga _. Non abbiamo rilevato alcun segnale(di reazione)». Pechino ha respinto ieri la richiesta di rivedere l'istituzione dell'Adiz avanzata da Seul (interessata in quanto una parte marginale dell'area copre alcune formazioni rocciose sommerse controllate dai sudcoreani), dopo l'analoga richiesta di Tokyo, formulata ieri anche in una risoluzione del partito liberaldemocratico di Abe che parla di «irragionevole espansionismo». Sarà dunque molto delicata la missione del vicepresidente Usa John Biden, che settimana prossima vola a Tokyo, Pechino e Seul: cercherà di rendersi conto delle intenzioni cinesi ma non potrà che irritarli sottolineando la solidità del legame degli Usa con i due alleati, di cui dovrà difendere le ragioni senza tentennamenti.
Molti osservatori cercano di scrutare gli scopi della mossa cinese senza trovare una riposta chiara, dal momento che la conseguenza sicura è quella di cementare l'alleanza nippo-americana e anche «influenzare il "forward deployment" degli Stati Uniti», come ha sottolineato Tomohiko Taniguchi, consigliere del premier Abe: già i droni Usa si sono affacciati nella regione e c'è da giurare che le basi americane di Okinawa (in particolare quella dell'Air Force di Kadena e quella dei Marines di Futenma) vedranno presto un rafforzamento di mezzi.
Inoltre le tensioni con la Cina fanno il gioco di Abe anche in politica interna: la maggioranza parlamentare ha forzato i tempi per l'istituzione di un Consiglio nazionale per la Sicurezza Nazionale sul modello americano (che dovrebbe essere varato già il 4 dicembre) e per l'introduzione di una legge severissima sui segreti di Stato (approvata l'altro ieri dalla Camera Bassa) criticata da molti _ comprese alcune organizzazioni internazionali di giornalisti e scrittori _ come potenzialmente lesiva della libertà di stampa e di espressione.
Le nuove linee-guida per la Difesa del Paese, inoltre, sono stata impostate su un cambiamento strategico finalizzato a rafforzare le capacità di difesa e riconquista di isole: ad esempio, le Forze di Autodifesa terrestri (l'esercito) vedranno un drastico taglio dei grandi carri armati e un forte aumento di mezzi da combattimento che possono essere trasportati per via aerea.
Il punto fondamentale, osserva Alessio Patalano, docente al dipartimento di War Studies del King's College di Londra, è che «le autorità cinesi stanno cercando di costringere il Giappone a riconoscere l'esistenza di una disputa territoriale»: Tokyo ne nega ostinatamente l'esistenza e il suo establishment ha ostracizzato l'ex premier Yukio Hatoyama proprio perché, durante un viaggio in Cina, aveva dichiarato che la disputa c'è e andrebbe ammessa. Questione pelosa, perché un'ammissione da parte di Tokyo renderebbe più problematico, almeno sul piano giuridico, l'appoggio incondizionato degli Usa, la cui posizione storica è quella di non prendere partito sulle controversie territoriali, pur chiarendo - e lo ha fatto con brutale chiarezza nei giorni scorsi il segretario alla Difesa Hagel – che l'articolo V del Trattato di mutua difesa copre le Senkaku. Alla radice della mossa cinese, continua l'esperto, potrebbe peraltro esserci anche una reazione alle attuali discussioni in Giappone sull'introduzione di una normativa che consentirebbe di abbattere i droni che entrano nello spazio aereo.
Il problema è che «le autorità cinesi stanno usando mezzi militari e para-militari per forzare un cambiamento di status quo in quella che è una questione politica», cercando di minare la percezione del controllo amministrativo di Tokyo sulle isole.
Così si arriva a una situazione pericolosa per cui velivoli americani, giapponesi e sudcoreani volano nella nuova Adiz cinese: si è creato un fattore di tensione a rischio di escalation ormai permanente.
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