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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2013 alle ore 06:43.

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Barbara
Fiammeri Il Parlamento obbligato a riprendersi la scena per garantire al governo di andare avanti. Con la decadenza di Silvio Berlusconi e il passaggio di Fi all'opposizione, ad Enrico Letta non sarà sufficiente assicurarsi la maggioranza numerica.
I riflettori fino a ieri indirizzati quasi esclusivamente sulla cacciata del Cavaliere, dalla prossima settimana saranno tutti puntati sulle Camere. Ed il primo ad esserne consapevole è il Quirinale che ha condiviso la richiesta di Fi di un passaggio parlamentare che certifichi la «discontinuità» tra le larghe intese con Berlusconi e la nuova maggioranza.
Ma a preoccupare il governo non è la «parlamentarizzazione» della crisi con Fi il cui esito è scontato. Tant'è che Letta l'ha accolta subito positivamente anticipando che rafforzerà il governo. In cima alla lista delle preoccupazioni del premier ci sono invece la legge di stabilità e la riforma della legge elettorale, che ieri al Senato ha subito l'ennesimo rinvio.
Una battuta d'arresto che potrebbe rivelarsi pericolosissima. Anche su questo Giorgio Napolitano deve essere stato molto chiaro ieri nell'incontro con i ministri Quagliariello e Franceschini. Il 3 dicembre come è noto la Corte costituzionale deciderà sull'ammissibilità dei ricorsi per l'incostituzionalità del Porcellum. La maggioranza e l'esecutivo non possono permettersi che su una delle principali ragioni sociali – la riforma elettorale per l'appunto – che portarono all'alleanza tra centrosinistra e centrodestra non ci sia un concreto e visibile stato d'avanzamento. Soprattutto dopo che una parte significativa ancorché non decisiva, Silvio Berlusconi e il suo partito, hanno deciso di abbandonare la maggioranza.
In queste ore si dà per certa la votazione di un ordine del giorno che definisca in modo chiaro «il perimetro» della riforma. Ma per ora l'unico messo ai voti (e sempre rinviato) è quello del leghista Calderoli per un ritorno a Mattarellum. Se la maggioranza dovesse arrivare a una proposta unitaria sostenuta anche da una parte dell'opposizione, Letta certamente ne trarrebbe grande giovamento e soprattutto disarmerebbe quanti, a partire da Renzi, spingono per il passaggio alla Camera. Più volte il sindaco ha chiesto di far tornare la riforma a Montecitorio: «Lì abbiamo un'ampia maggioranza che ci consentirebbe di accelerare i tempi». E se il Senato dovesse nuovamente far fallire lunedì l'appuntamento, sarebbe difficile continuare a opporsi al passaggio alla Camera dove Renzi muove le sue truppe con maggiore facilità. Ed è proprio alla Camera che è appena arrivata la legge di stablità.
L'esame dell'ex finanziaria entrerà nel vivo proprio nella settimana successiva all'incoronazione di Renzi. Non è certo un azzardo immaginare che il neosegretario del Pd voglia marcare fin da subito il suo arrivo. Su questo conta anche il partito di Silvio Berlusconi. La verifica parlamentare per conclamare il cambiamento della maggioranza verrà deciso nei prossimi giorni. I falchi del partito vorrebbero che avvenisse subito, mentre l'ala più moderata non ne fa una questione di principio. Anzi, uno tra i principali esponenti azzurri ieri saliti al Colle sottolineava che sarebbe opportuno attendere il congresso del Pd, nella speranza di un distinguo renziano in occasione del dibattito parlamentare. Molto ovviamente dipenderà dalla piega che prenderà l'esame della legge di stabilità.
La rivendicazione ieri della golden share del governo da parte di Angelino Alfano è un avvertimento chiaro. L'ex segretario del Pdl non può permettersi di apparire come il ruotino di scorta e farà sentire la sua voce. Anche perché la sua scommessa è destinata a essere vinta o persa in pochi mesi: il passaggio decisivo saranno le elezioni europee dove non cercherà alleanze per misurare la propria forza.
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