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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2013 alle ore 14:07.
L'ultima modifica è del 30 novembre 2013 alle ore 15:04.

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I gas nervini di Bashar Assad verranno distrutti a bordo di una nave militare statunitense, il cargo della flotta ausiliaria Cape Ray. Lo ha rivelato la BBC confermando così le voci diffuse la settimana scorsa dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) circa la decisione di puntare sullo smaltimento in mare delle 1.000 tonnellate di precursori e 300 tonnellate di armi chimiche stoccate in territorio siriano. Un'opzione sostenuta anche da fonti dell'Amministrazione statunitense dopo che tutti i Paesi interpellati (Turchia, Norvegia, Giordania, Albania, Belgio, Danimarca e Germania) si sono rifiutati per diverse ragioni di ricevere e smaltire sul territorio nazionale le armi chimiche siriane.

Il programma Newsnight dell'emittente britannica ha rivelato, citando fonti industriali non meglio precisate, che la nave verrà dotata di un sofisticato sistema mobile per l'idrolisi, capace di scindere i prodotti chimici e neutralizzarli. Dovrebbe trattarsi del Field Deployable Hydrolysis System sviluppato dal Pentagono per consentire la distruzione di armi di distruzioni di massa anche in condizioni campali o quando risulti pericoloso trasferirle. Nel caso siriano non mancano i rischi nello spostare le armi dai depositi ai porti sulla costa considerato che i ribelli e soprattutto i gruppi qaedisti potrebbero attaccare i convogli per impossessarsi dei gas ma le condizioni di guerra del Paese rendono ancor più rischioso lasciare le armi chimiche nei 41 depositi individuati dall'Opcw.

La soluzione navale sembra prevedere l'afflusso dei container contenti gli arsenali chimici siriani nel porto di Latakya o Tartus e da lì a bordo della Cape Ray facendo attraccare direttamente la nave in porto o con imbarcazioni minori che potrebbero fare la spola tra i porti e l'unità navale statunitense. La prima ipotesi sarebbe certo la più pratica e sicura considerando il rischio di attacchi terroristici o incidenti in mare che potrebbero portare all'affondamento di parte del carico. La seconda potrebbe rivelarsi politicamente più opportuna dal momento che l'attracco in un porto siriano di una nave militare statunitense potrebbe risultare indesiderato da Damasco che peraltro aveva accettato di disfarsi dei suoi arsenali chimici ponendo la condizione che le sue armi non venissero consegnate agli Stati Uniti.

Un'ulteriore opzione, resa possibile dalla stretta cooperazione tra Mosca e Washington nella crisi siriana, potrebbe vedere l'afflusso delle armi chimiche nella base navale russa situata all'interno del porto di Tartus dove potrebbe attraccare la Cape Ray senza coinvolgere ufficialmente le autorità di Damasco. Lo smaltimento avverrebbe in acque internazionali nel Mar Mediterraneo e vedrebbe la Cape Ray pesantemente scortata da navi da guerra della Sesta Flotta statunitense. Costruita in Giappone nel 1977, la Cape Ray si chiamava originariamente Seaspeed Asia e operò a lungo per una società armatrice saudita. Ribattezzata Saudi Makkah venne acquistata per compiti logistici dalla Us Navy nel 1993 per essere assegnata l'anno successivo alla Ready Reserve Force, la forza navale logistica che Washington utilizza per il trasferimento rapido di mezzi e materiali pesanti. Lunga quasi 200 metri per 35 mila tonnellate di stazza, la Cape Ray si trova attualmente nel porto di Portsmouth, in Virgina, può venire riattivata in soli cinque giorni e raggiungere le acque siriane in meno di due settimane. Con questa soluzione l'OPCW potrebbe quindi rispettare il termine previsto per portare via dalla Siria il materiale chimico: il 31 dicembre per i gas già pronti all'uso e il 5 febbraio per gli elementi che miscelati costituiscono le armi. Quanto a rispettare la data del giugno 2014 per la distruzione degli arsenali siriani, tutto dipenderà dalla velocità di lavoro del mobile Field Deployable Hydrolysis System.

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