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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2013 alle ore 08:48.

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Con una decisione che ha preso in contropiede il mercato, Canberra ha posto il veto all'acquisizione di GrainCorp da parte di Archer Daniels Midland (Adm): un takeover da 2,7 miliardi di dollari che avrebbe consegnato al gruppo agroindustriale statunitense la quasi totalità delle strutture per la movimentazione del grano dell'Australia orientale.
L'annuncio ha provocato una caduta verticale di GrainCorp in Borsa: -22% a 8,72 A$, sotto il valore precedente l'offerta. Inoltre ha accelerato la discesa del dollaro australiano, già in corso da settimane, portandolo ai minimi da due mesi e mezzo (90,56 centesimi di dollaro Usa).
L'effetto sorpresa è stato davvero notevole. L'Autorità antitrust di Canberra aveva infatti già approvato l'operazione, benché promettesse di rafforzare la concentrazione nel settore: il 60% dell'export di grano sarebbe stato controllato da tre società, tutte straniere (oltre ad Adm, Glencore Xstrata e Cargill). Il Foreign Investment Review Board (Firb) aveva invece tempo fino al 17 dicembre per pronunciarsi, ma il ministro del Tesoro Joe Hockey – sostenendo che l'organismo fosse diviso – ha preso in mano la questione, vietando il takeover per motivi di interesse nazionale. «La proposta aveva suscitato un alto livello di preoccupazione tra gli stakeholders e più in generale nella comunità – ha detto – Non è il momento giusto per un'acquisizione straniera al 100% in questo settore dell'economia australiana».
Tre mesi fa, festeggiando la vittoria elettorale, il premier liberale Tony Abbott aveva proclamato che l'Australia è un Paese «open for business». Gli eventi di ieri l'hanno costretto a equilibrismi dialettici: «Noi siamo davvero aperti agli investimenti stranieri, ma devono essere investimenti in accordo con il nostro interesse nazionale». Affermazioni che non hanno convinto appieno, come dimostrato dall'immediata flessione del dollaro australiano. Molti analisti si sono detti convinti che si tratti di un «cattivo segnale», quanto meno della solidità del Governo, che sembra aver ceduto alle pressioni della lobby agricola e dell'alleato di minoranza dei Liberal, il National Party, molto radicato nelle aree rurali.
«Questi eventi – ha avvertito anche Don Taylor, presidente di GrainCorp – avranno implicazioni durature, che saranno avvertite non solo dai nostri azionisti ma dall'intero settore. L'agricoltura australiana è stata privata dei benefici di lungo termine che sarebbero derivati dai significativi investimenti di Adm».
Il gruppo Usa, cui rimane una quota del 20% in GrainCorp, ha incassato una sconfitta bruciante: l'Australia – secondo produttore mondiale di grano, posizionato in modo ideale per servire la Cina – resterà off limits, mentre molti concorrenti sono riusciti ad entrarvi dopo lo smantellamento dell'Australian Wheat Board (Awb), che fino al 2006 monopolizzava l'export del cereale. La stessa Awb è stata comprata dalla canadese Agrium, che ne ha poi ceduto una parte a Cargill, mentre Glencore Xstrata si è aggiudicata Viterra, che in precedenza aveva rilevato Abb Grain. GrainCorp – che in Australia orientale controlla 280 silos e 7 dei 10 terminal marittimi per l'export di cereali – è l'unica società del settore rimasta indipendente.
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