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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2013 alle ore 08:51.

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Si dice sempre che non c'è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione. Portamento, sicurezza di sé, rispetto per l'altro devono essere veicolati in pochi secondi (da tre a sette, secondo gli studiosi), pena lasciare l'idea di essere persone noiose, arroganti, maleducate. E per provare il contrario ci vuole poi molto impegno e molto tempo. Meglio premunirsi quindi, e andare a lezione di arte della socievolezza, o come dicono gli americani di "social skills", le competenze nel rapportarsi con il prossimo. Secondo la 38enne newyorkese Faye de Muyshondt tali competenze si imparano quando te le insegna qualcuno e quando ci si allena a svilupparle come se fossero una seconda natura: «Sono come il tennis, gli scacchi o andare in bicicletta: puoi avere un talento naturale ma senza tanta buona pratica non diventerai mai davvero bravo».
Questa bionda e molto coiffata signora che appare spesso sulla breakfast television americana viene dal mondo delle pubbliche relazioni, e ha passato buona parte della sua carriera a istruire personaggi pubblici su come comportarsi davanti le telecamere, alla radio, a una cena di gala o a un comizio. Rendendosi conto che certi buoni consigli non potevano che giovare anche ai ragazzi in procinto di cercare lavoro, è passata a insegnare all'università un corso da lei stessa concepito e intitolato «The brand called you». «Copriva tutto quello che conta in un'intervista: come stringere una mano, come fare una presentazione, come evitare di iniziare e disseminare i propri discorsi di parole inutili come "like, um, ya know" (i nostri "diciamo, cioè, insomma, niente")», spiega de Muyshondt.
Che continua: «Generalmente la cosa che più si avvicina a questo tipo di lezioni sono le critiche, a volte ironiche, a volte biliose, dei nostri parenti. Invece è importante strutturare le nozioni in un corso come si fa con scienze o matematica: si tratta di competenze che serviranno ogni giorno, per tutta la vita, sia nel lavoro che nel privato». Se ci si pensa è vero: non si impara per osmosi che bisogna salutare guardando le persone negli occhi, che ci si toglie i guanti per stringere una mano (che va scossa per tutta la durata dello scambio dei nomi), che puntare gli occhi in basso, tormentarsi i capelli o il bordo della manica, tenere le braccia incrociate e le spalle curve emanano una vibrazione negativa e difensiva; né come si apparecchia una tavola e come si scelgono le posate giuste, o che un'e-mail a un datore di lavoro o un professore richiede un saluto iniziale e finale, che per ingaggiare e mantenere una conversazione cortese e rispettosa bisogna saper fare delle domande e ascoltare le risposte senza guardare il telefono, che un regalo si apre sempre davanti a chi te l'ha donato. «Quando si elencano questi principi sembrano evidenti frutti del buon senso comune; ma la pratica comune è una cosa diversa. Invece di intervenire in maniera correttiva e contingente – bambini e ragazzi detestano essere ripresi in pubblico perché non hanno salutato la signora o masticano a bocca aperta – è molto più produttivo insegnare a priori come ci si comporta», spiega ancora de Muyshondt. Che infatti ha scritto «Socialsklz: for success» (Running Press, 224 pagine), un manuale di etichetta destinato ai genitori, che seguendo i vari capitoli possono organizzare in casa dei veri e propri seminari di buone maniere per i figli, tenendo dei diari per seguire i progressi e drammatizzando situazioni come cene al ristorante, feste di compleanno, commissioni nei negozi.
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