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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2013 alle ore 08:48.

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Christine de Pizan, al termine del Medioevo, in un libro che non smette di stupire, immaginava una città costruita secondo i suggerimenti di Ragione, Rettitudine e Giustizia, una città fortificata chiamata la città delle dame, la città delle donne. Ripensare il mondo dalla prospettiva femminile è per Christine possibile e necessario, ne va delle donne e ne va degli uomini. Può sembrare un paradosso, ma forse è la lettura di Boccaccio – fonte certa – che le ispira un progetto di città delle donne che va molto al di là delle sue fonti. Non il Boccaccio misogino di una certa fase della sua produzione, ma il raccontatore dell'apporto femminile alla civiltà umana: dee, regine, poetesse, figure femminili storiche, sovrane. Certo in Boccaccio, e anche in Christine, alcune di loro sono descritte come virtuose in un senso maschile, ma molte altre sono figure della cura, della relazione, della generazione.
Il cammino delle sovrane, cioè di un pensiero di fondazione alternativa della convivenza, è un cammino lungo ma costante.
Annarosa Buttarelli, nel libro Sovrane. L'autorità femminile al governo, non cita Christine e forse scarterebbe Boccaccio, ma riprende quel filo e quel cammino di sovranità. Se c'è una via diversa per ripensare e rifondare la politica, questa via passa attraverso il pensiero dell'autorità femminile. È questo uno degli assunti del libro, un assunto carico di implicazioni e conseguenze. La prima è la necessità di decostruire il meccanismo della sovranità e quello della democrazia così come si sono formati nella tradizione occidentale.
Buttarelli ne mostra la strada sempre tenendosi in dialogo con pensatrici come María Zambrano, Simone Weil, Nicole Loraux, Carole Pateman. Il mito di fondazione della democrazia occidentale moderna, quello del contratto sociale, nasconderebbe e proteggerebbe un rimosso, quello del «contratto sessuale», come ritiro dell'intervento femminile (e del suo pensiero) nella sfera privata e come soggezione ai maschi in quanto tali. Sarebbe dunque questa soggezione non naturale a rendere possibile il contratto sociale moderno, che dà vita a una società civile di individui liberi, allo spazio del pubblico, «maschile», e all'oblio del privato femminile (e al paradossale spostamento del privato nel mondo civile attraverso l'impresa capitalistica). Questa subordinazione originaria rimane il modello e l'antecedente della subordinazione dell'individuo alle relazioni in ambito pubblico. D'altra parte lo stesso atto di fondazione della democrazia ateniese, archetipo di ogni pensiero democratico successivo, come uscita da una condizione di guerra civile, non sarebbe altro che il riconoscimento tra uomini, tra fratelli – in quanto figli della stessa città –, che si sono armati gli uni contro gli altri. La violenza inventa la democrazia e ne rimane paradossalmente garante.
Sono forse questi i due atti fondativi che bloccano permanentemente democrazia e sovranità, mentre la riflessione di Buttarelli fa affiorare possibili linee differenti di pensiero. L'autorità femminile è improntata alla relazione, è generatrice di relazione. Per questo la finzione dell'individuo e la nozione di rappresentanza, che da essa scaturisce, escluderebbero l'esperienza femminile dal modello politico della nostra tradizione. La rappresentanza di fatto oscura le pratiche delle relazioni, modellizza l'esperienza politica e del potere su una base non femminile. Proprio come il «popolo», termine che resiste all'individualismo politico, che resiste alla gerarchizzazione e al comando, le donne indicano con la loro esperienza l'orientamento al relazionale. E proprio gli elementi che relegavano l'esperienza femminile al privato, al non pubblico, al non politico – Butterini sulla scorta della Zambrano evoca l'intimo, il contestuale, il domestico – diventano la sostanza di un ripensamento dell'autorità nella sua radice femminile. Se la sovranità è ciò che sta sopra, nell'esperienza femminile essa si manifesta come la anarché di Antigone, come il senza-principio, il «da sempre», che è uno stare sopra la legge e non contro, una relazionalità che precede la legge. Quello femminile, discendente da questa concezione di sovranità, è dunque un governo delle relazioni e del loro spazio simbolico, non della rappresentanza come sostituzione, come rappresentazione fittizia di individui.
Un rovesciamento simile è operato dalla Buttarelli anche come accesso alle pratiche economiche. L'amore per il superfluo, che a detta dell'autrice caratterizza le donne, consente di pensare l'economico in modo diverso, «saltando l'utile», cioè cercando di sfuggire alle morse antropologiche di un capitalismo che dà all'accumulazione e alla moltiplicazione di denaro il valore simbolico portante. Ciò a cui pensa Buttarelli è invece un'economia del «soprammercato», uno spazio simbolico che mette in valore ciò che essenziale e ciò che è superfluo, che dialogano tra loro sfuggendo alla logica dell'utile, criterio guida di una certa cultura economica contemporanea.
Le emergenze storiche o testuali di queste linee di sovranità e autorità femminili sono per Buttarelli rintracciabili in concrete esperienze di vita o di scrittura, a cui il libro dedica un capitolo: la badessa del XII secolo Ildegarda di Bingen, che fa del discernimento l'accesso a una razionalità che è la vera regalità; o Elisabetta I d'Inghilterra, che si proclama Vergine a significare il suo essere svincolata da qualsiasi soggezione; o anche Elisabetta del Palatinato, che in un carteggio con Cartesio sulle passioni dell'anima lo richiama alla concretezza dell'esperienza e della vita; o Anna Maria Ortese e la sua cosmologia politica, le Preziose e Carla Lonzi.

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